Transeuropa: Nuova poetica

La raccolta poetica “Del non sapere” presenta alcune figure che si incarnano in voci interiori o discorsi che tentano di sondare la condizione del vivere e di porsi domande sul presente, mentre tocca punti sensibili della realtà evocando immagini e pensieri che s’intrecciano a un linguaggio teso a dialogare con l’altro.

Il Sole di cui parla il titolo è un Sole bianco, che simboleggia l’insieme di tutti i colori dello spettro del visibile. Da questo Sole si dipartono raggi di 5 colori: il Rosso simboleggia l’Amore forte tra due persone; l’Arancione l’Amore verso gli altri; il Verde la comunione con la Natura. Il Blu rappresenta sentimenti e sensazioni che incupiscono l’animo; il Nero l’assenza assenza totale di luce e positività emotiva.

“Il fosso” rappresenta il guado da attraversare per comporre versi sulla contemporaneità: esso divide e unisce. Blocca chi ne ha paura e mostra un nuovo mondo a chi trova il coraggio di attraversarlo. È il paradigma dei tabù individuali e quindi sociali. La silloge rimanda alla dirompente fantasia della Beat Generation, attraverso l’accostamento creativo di termini all’apparenza incoerenti, per produrre componimenti che risultino originali e pennellati come la tela di un quadro.

In un mondo ormai ridotto in cenere, l’umanità è costretta a vivere in una condizione di stenti e disagio perenne. La vicenda segue le gesta di Prometeo, un ragazzo che si è ritrovato a barcamenarsi in questa grama esistenza, ma che è alla ricerca di qualcosa di più. Non gli basta semplicemente sopravvivere. Quando nella sua vita, fatta di fatiche e rinunce, un evento sconvolge tutte le sue poche certezze, è costretto ad allontanarsi da casa per esplorare il suo desolato mondo.

L’opera poetica si divide in sei parti, quanti sono i recettori di luce della farfalla, scandite da sette liriche, come i giorni della Creazione. E come una “lieve farfalla in un giardino di pietra”, la poesia si fa luce e sostanza dell’esistenza, celebrando e perpetuando gli istanti in una costante ricerca dell’Assoluto. “Il cantico della farfalla” è un viaggio dell’anima, costellato di ombre, sogni ed antichi presagi. Un volo “sconfinante nel tempo”, pervaso da un sensuale misticismo, che trascende il cupo fragore del presente per ricreare “i contorni di una intima quiete”.

Pallido come chi giace all’ombra di Parnaso. Pallido come chi veglia la notte al lume di un cero. Pietra come strumento del fuoco e della risonanza. Pietra come poesia, solitaria forma cristallina. Ci si richiama alle pietre che cantano e che tuoneranno. Al canto come legame erratico tra la psiche e il cosmo. E immutato, nell’asse del suo andirivieni, è il silenzio. Ci si richiama al canto che intreccia il macrocosmo con il microcosmo. La lingua del sì e della lode è il suo ordito, sul cui orlo è una soglia, la soglia col silenzio.

L’amore e i tormenti amorosi sono predominanti, ma non mancano gli accadimenti di questi ultimi anni: perdite, guerra, tormenti; tuttavia alle volte anche solo la presenza di un fiore è sufficiente a trasformare il pensiero in scrittura.

Nella struttura narrante delle sue poesie, Febbo lascia che le parole affluiscano leggere – nell’accezione più positiva del termine – sul foglio, che s’imprime di voglie, di sentimenti. Febbo, consapevole del suo Io di giovane uomo maturo, trova anche spazio – attraverso un’attenta introspezione – per la fragilità, che tende a coccolare come fosse una delle forze più belle possedute dall’umanità. I versi danno spazio anche all’universo femminile, che l’autore vede come il più bello e, al tempo stesso, il più sofferto dell’intera esistenza umana. Ma il vero collante dell’intera silloge sono i ricordi, i sapori e le sensazioni passate o presenti di un vivere che tende a rimarcare il diritto alla libertà.

Ariadne è la tessitrice della poesia, filo di salvezza. Per questo è wired e si allea con Eros, col suo potere trasfigurante e rivoluzionario. Ariadne guida il mio viaggio in poesia tra le isole della mente: la scrittura erotica come un incantamento dai tempi di Saffo scatena energie vitali che aderiscono alla vita, secondo natura, e catturano i segnali che vengono dal passato mitico proiettandosi nel futuro ancora da disegnare. Il poeta è uno sciamano, è un rabdomante che cerca le acque della rinascita, le acque dinamiche, tanto più quanto si assiepa il silenzio del lockdown, dell’indifferenza e dell’assenza.

Definito da Marco Cinque “terrorista dei versi” Andrea Garbin torna, con questi sette nuovi canti, ad ampliare la sua opera in continua espansione dei “Canti di confine”. Muri fisici, muri invisibili, la rinascita delle destre, anticapitalismo e antifascismo sono le tematiche fondanti di quest’opera poetica che non teme il dolore nudo della verità. Il caso Riace, il muro di Orban, la pandemia, alcuni dei temi più recenti. “In un’epoca in cui le ideologie sono state consegnate al cestino della storia” - scrive il grande poeta americano Jack Hirschman - “si riconosce in Garbin un poeta che non teme di dare un nome ai nemici della gente e ad offrire, al contempo, i sentimenti di amicizia e fratellanza che sfidano il degrado e resistono a ogni tentativo di rendere gli esseri umani inferiori più di quanto non siano in modo innato”.

La silloge parla di amore, di quello che si può provare per la donna che si è sempre cercato. Affiorano qua e là vicende mai dimenticate del passato, che hanno più volte visitato lo spirito del poeta sino a trasformarlo nella persona che è oggi.

Forse ancor prima di essere segni, le parole sono cose, che al pari degli oggetti materiali popolano il mondo. “La lezione delle cose” - titolo preso in prestito a Claude Simon ma che ricorda un po’ Francis Ponge, un po’ i vecchi sussidiari francesi - raccoglie minuscole cronache di esperienze quotidiane divenute talora occasioni metafisiche.