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Libri di M. Sciglitano

Erno Egri Erbstein. Trionfo e tragedia dell'artefice del Grande Torino

Dominic Bliss

Libro: Copertina morbida

editore: Cairo

anno edizione: 2019

pagine: 352

Ernó Egri Erbstein è stato un rivoluzionario del calcio. Nato a Nagyvarad il 13 maggio 1898 da un'agiata famiglia israelita e cresciuto a Budapest, dove si laurea in Educazione Fisica, inizia presto la carriera di calciatore, tra Ungheria, Italia e Stati Uniti. Nel 1928 torna in Italia come allenatore: dopo le stagioni al Bari e alla Nocerina, allena il Cagliari, con cui sfiora la promozione in A, e la Lucchese. Nel 1938 passa al Torino, ma solo per pochi mesi perché, dopo la proclamazione delle leggi razziali, viene mandato in Olanda ad allenare lo Xerxes. Dove però non arriva mai: gli viene inspiegabilmente annullato il visto, rientra in patria e diventa rappresentante di tessuti italiani. Ma il nazismo lo raggiunge: quando nel 1944, le truppe tedesche invadono l'Ungheria, la moglie e le sue due figlie si rifugiano in una fabbrica di uniformi militari all'interno di un convento cattolico ed Erbstein finisce internato in un campo di lavoro. Mentre un treno lo sta per portare verso i campi di sterminio, riesce a fuggire di nuovo. Tornato in Italia dopo la guerra, è ricontattato da Novo che gli offre la direzione tecnica del Torino. E qui il magiaro realizza il suo capolavoro: crea una squadra irresistibile che pratica un calcio avveniristico. Erbstein cura maniacalmente ogni minimo dettaglio: dalla preparazione atletica (fu lui a introdurre il riscaldamento) all'alimentazione, fino alla psicologia dei giocatori. Diventa il tecnico di calcio più innovativo del suo tempo. Tutto finisce a Superga, il 4 maggio 1949, quando il Grande Torino è consegnato definitivamente al mito. Il suo indiscusso artefice muore insieme ai suoi ragazzi. La sua storia viene dimenticata, finché tanti anni dopo si torna a parlare di lui riconoscendo il suo valore umano e sportivo.
18,00 17,10

Boscomatto

Ádám Bodor

Libro: Copertina rigida

editore: Il Saggiatore

anno edizione: 2019

pagine: 232

C'è un paese che non c'è. Al centro di una valle nebbiosa, circondato da un bosco dai cui rami scheletrici penzolano cadaveri di impiccati, il paese - un nucleo isolato di case in rovina, una locanda, un bagno pubblico - vive una non-vita immota e immutabile, congelata in un'eterna ripetizione di gesti, riti, culti. L'inverno è lungo, l'estate corta, le gravidanze durano due anni: nemmeno i bambini vogliono nascere, nella valle della Verhovina. Nulla turba questa quiete che non è un letargo; è un corna: gli abitanti - il capo della brigata per il controllo delle acque, Anatol Korkodus; il giovane Adam, uscito dal penitenziario di Monor Gledin per aiutare il brigadiere nelle sue mansioni; la curatrice Nika Karanika, che sa resuscitare i morti; la sarta Aliwanka, che predice il futuro nei fazzoletti inzuppati di lacrime - aspettano; aspettano che in paese arrivi qualcuno, ma non arriva mai nessuno, e quei pochi che arrivano se ne vanno, o scompaiono, o si gettano nelle acque della sorgente numero due, dove tutto ciò che cade «diventa blu, e dopo un po' di tempo vi si deposita sopra una specie di cristallo blu in aghi appuntiti». Anche gli uccelli sono spariti: sono volati via, un giorno, e non sono più tornati. Ultimo romanzo di Ádám Bodor, «l'autore più spietato, più crudele della letteratura contemporanea est-europea» nelle parole di László Krasznahorkai, "Boscomatto" è una successione di tavole bruegeliane in cui le situazioni si ripetono in modo ossessivo, come se i personaggi - lunga teoria di figure sole'e disperate, accomunate da un desiderio perennemente frustrato di contatto umano - fossero condannati a replicare senza sosta i gesti di una farsa insensata. Del resto, nella valle della Verhovina non esistono passato, presente e futuro; il filo del tempo è un cappio e ogni vita, congelata nel ghiaccio, è un fossile imperfetto che ci arriva dalla fine dei giorni, alla cui sorte siamo tutti fraterni.
22,00 20,90

Gli atti di mia madre

András Forgách

Libro: Copertina morbida

editore: Neri Pozza

anno edizione: 2018

pagine: 315

Accade a volte che una rivelazione possa a tal punto mutare il senso di una storia, da trasformare ogni suo singolo istante in qualcosa di totalmente altro, di tragicamente inaspettato. Dal 2005 fino al 2015 una rivelazione simile ha sconvolto l'esistenza di András Forgách, scrittore, drammaturgo, poeta, membro del Teatro Nazionale di Kecskemét. Dapprima una voce, una chiamata al telefono di qualcuno imbattutosi nella faccenda per puro caso, qualcuno cui è capitato di sfogliare un fascicolo quando l'Ungheria ha aperto gli archivi dei servizi segreti del passato regime comunista. Poi la frequentazione personale di quegli archivi e la lettura diretta dei dossier. Ed ecco emergere la verità che ripugna, che fa gelare il sangue di András Forgách e lo fa svegliare di soprassalto nel cuore della notte: sua madre, la persona in compagnia della quale ha conosciuto la bellezza, la liberalità, la generosità, l'abnegazione, era una «collaboratrice segreta», una minuscola vite, un'ultima rotella di un misero apparato repressivo. Avi-Shaul Bruria si chiamava - un nome dalla musicalità del Vecchio testamento -, nata a Gerusalemme il 3 dicembre 1922 da Lea Yedidya e Avi-Shaul, famoso scrittore israeliano, morta in Ungheria il 30 novembre 1985. Una donna di indiscussa grazia e signorilità, una donna non priva, a detta di molti, di quella bellezza che si deve alla gioia e all'amore incondizionato per la vita. Certo, era un'ebrea di sinistra che aveva conosciuto in gioventù e poi sposato Marceli Friedmann, un ebreo comunista divenuto «il compagno Forgács» una volta che i due si erano trasferiti nell'Ungheria socialista. Ma questo può forse trasformare una madre amorevole che era il firmamento, la volta celeste della sua famiglia, in un'agente che non esita a elargire informazioni persino sui figli e i parenti in nome della sua incrollabile fede nel comunismo?
18,00 17,10

I senza terra

Szilárd Borbély

Libro: Copertina rigida

editore: Marsilio

anno edizione: 2016

pagine: 264

"Nel 2013, all'età di cinquant'anni, Szilárd Borbély pubblica un romanzo dal titolo 'Nincstelenek', qualcosa come i derelitti, coloro che non hanno nulla, che sono stati spogliati di tutto. Da chi? Dagli occupanti nazisti prima, dagli occupanti comunisti poi. La vicenda si svolge tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta del secolo scorso, in un misero villaggio abitato da zingari, ungheresi, romeni di varie religioni ed etnie. Il narratore è un bambino che vive con la famiglia (un neonato, una sorella, padre e madre) in un tugurio di fango, argilla e letame. Gli strati infimi dell'esistenza nei quali si svolge la vicenda sono descritti con un linguaggio diretto, semplice, mai finto, senza evitare né forzare crudezze, ma senza nascondere nemmeno nulla. Persino il lettore che cerchi solo puro intrattenimento rimane avvinto da questa narrazione di un'onestà, di una dirittura e di una profondità oggi irreperibili nella letteratura mondiale. Non a caso infatti 'I senza terra' è stato considerato dalla stampa internazionale un romanzo che 'appartiene alla più vera, più grande letteratura contemporanea'. Da tanta tensione, l'autore purtroppo è morto suicida nel 2014, l'anno successivo alla pubblicazione di quest'opera ormai tradotta in varie lingue e diffusa in numerosi paesi." (Giorgio Pressburger)
18,50 17,58

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