Libri di Damiano Antonio Sofo
C’era un ragazzo che amava i Pooh e i New Trolls e altri racconti
Damiano Antonio Sofo
Libro
editore: Valletta
anno edizione: 2018
Con questa raccolta Damiano Antonio Sofo mette a nudo la sua anima poliedrica, che il lettore ha già imparato ad apprezzare con “La razza eletta” e “Le more d’autunno”. Nel suo stile inconfondibile tratta con la stessa serietà e con la stessa ironia i temi più disparati, grazie alla passione e l’arguzia di chi adora esistere. “Soffro di libertà estrema. Mi danno nell’assenza di limiti ai pensieri, mi lascio aggredire da essi senza difese. Soffro dell’assenza dei rimpianti, per aver preso tutto ciò che volevo. Godo dei rimorsi che riesco a costruirmi, li assaporo e li metto in cassaforte, perché non scappino. C’è sempre bisogno di un sano rimorso, per me. Io sono impuro, un libertino, sono l’essenza dell’imperfezione e della dannazione. Perché adoro esistere." (dal racconto “Raccordi angolari”)
Le more d'autunno
Damiano Antonio Sofo
Libro
editore: Valletta
anno edizione: 2016
Vedi, l'amore non è. L'amore vive, in ogni singolo cervello, come un'assenza ingombrante, un presente indefinito. Pensi di potergli dare confini ma è lui che confina te in un cerchio dal quale non puoi uscire. Ti dà luce, quando pensi di essere spento, e vita, quando qualcuno tenta di svilirti. Ti redime dal tuo passato, anche fosse quello di un santo o di un martire. Perché l'amore ti cambia, comunque. Ed è bene che sia così.
La razza eletta
Damiano Antonio Sofo
Libro: Copertina morbida
editore: Valletta
anno edizione: 2015
Esiste la remota possibilità che, leggendo questo romanzo, si determini un cambiamento sostanziale delle convinzioni generalizzate sui lavoratori della pubblica amministrazione. Appunto, remota. L'autore non ha la pretesa, né crede sia possibile in un arco così ristretto di parole e pagine, di impedire che il pregiudizio sui pubblici dipendenti prevalga su un punto di vista coraggiosamente diverso. Ma ha l'esigenza, quella sì, di riabilitare una peculiare consuetudine del dipendente pubblico, che nell'immaginario collettivo è un'atavica quanto deprecabile abitudine, ovvero la pausa caffè. Perché, ci si consenta la provocazione, è proprio la pausa caffè a dare un senso alla vita lavorativa di colui che, seppur indegnamente, tuttavia tenta di dare un contributo al funzionamento della macchina statale.