Libri di M. Giaveri
Romanzo di guerra. Poesie
Jesper Svenbro
Libro: Libro in brossura
editore: ES
anno edizione: 2013
pagine: 164
"Sono uomini comuni, quali si potrebbero incontrare in una panetteria algerina o in un mercato di periferia a Parigi. Comuni gli oggetti che restano loro dal passato guerresco: una foto, forse un ricordo dell'uniforme da paracadutista indossata un tempo (berretto rosso, pugnale d'assalto, la carta della Francia in seta). E comuni sono le parole con cui sobriamente ricordano - e tramite cui sobriamente sono ricordati - nei frammenti di memorie che compongono il Romanzo di guerra. 'Romanzo' e al tempo stesso 'Poesie' intitola il libro Jesper Svenbro: né vi è contraddizione di generi letterari. Poiché l'evocazione di quegli anni avventurosi (le fughe, l'arruolamento, la resistenza nei Paesi occupati dai nazisti, l'amicizia, l'incanto inatteso di un incontro d'amore) costituisce un romanzo realista, dalla scrittura sorvegliata e dimessa che mima un sorvegliato e dimesso 'parlato'. Ma al romanzo la poesia presta la sua regale noncuranza, la sua divina consapevolezza: il racconto di vita si interrompe, riprende a ritroso, la scena evocata si illumina un attimo e poi sprofonda nel buio. E quel 'parlato' dimesso si imperla di metafore, mette in scena la sua stessa genesi, sì che le avventure di guerra, di memoria e di scrittura finiscono per coincidere." (Marina Giaveri)
Parole di libertà
Libro: Libro in brossura
editore: SE
anno edizione: 2010
pagine: 130
"Dalle testimonianze di questo libro emerge che sempre, dopo sofferenze e umiliazioni tali da fiaccare ogni energia, tutti questi condannati sono riusciti a ritrovare l'entusiasmo della creazione letteraria una volta usciti dal carcere, e alcuni di loro lo hanno conservato durante la prigionia, scrivendo in prigionia, scrivendo della prigionia, talora mandando i propri versi a memoria quando non avevano neppure la carta per serbarne traccia. Come a dire, ancora una volta sfiorando il cinismo, che la reclusione fa bene alla letteratura. [...] Non sto facendo della letteratura sulla sofferenza altrui. Non si gettino in cella gli scrittori perché l'orrore li renda più percettivi, così come si castravano i fanciulli perché diventassero buoni cantori per la Cappella Sistina, o i comprachicos deformavano i lineamenti dell'Uomo che Ride. Questo stesso libro è un appello perché nessuno venga più privato della libertà a causa di ciò che ha scritto. Ma l'appello viene da chi ha affinato le proprie capacità di rappresentare l'orrore e la stupidità (la banalità del male) proprio usando come arma la punizione che gli era stata inflitta. Da cui la contraddizione dei tiranni, che gettando gli scrittori nelle segrete, affinché tacciano, collaborano ad amplificarne la voce." (Dalla prefazione di Umberto Eco)

