Libri di Stefano Rissetto

Cinque anni, tanto durò la lunga marcia dei blucerchiati in serie B dal 1977 al 1982, iniziata e archiviata da due partite contro la Juventus a Marassi, la prima persa nel giorno della retrocessione, la seconda vinta con il gol dell'unico superstite della gara del 1977, il terzino Ferroni. Stefano Rissetto nel suo sesto romanzo dipinge una sorta di partecipe autobiografia di una generazione blucerchiata nata alla metà degli anni Sessanta e passata da un'infanzia fatta di crude salvezze a fine campionato a una maturità di orizzonti impensati. In questo viatico, l'accidentata adolescenza di un gruppo di amici di Sestri Levante, uniti dalla fede nei quattro colori e dalle traversie cadenzate dalle tappe di quel viaggio al termine della notte, una notte che non finiva mai ma che si sarebbe spalancata su un'alba dove l'impossibile si sarebbe avverato. Una narrazione scandita dalle emozioni, spesso intrise più di sconforto che di gioia, vissute girando l'Italia da trasfertisti, quasi sempre in treno, talvolta in nave, per sventolare una bandiera "in ogni posto che andiamo."

Ogni viaggio è un ritorno, anche il lungo percorso, trentaquattro ore in treno e in nave per duemila chilometri, da un mare a un altro, in una città di fiume dove il nord non è ancora irreparabile e il freddo qualcosa di più di una parola che non si possa dire. A Göteborg un gruppo di amici ha attraversato l'Italia e l'Europa all'inseguimento di un pallone che rotola, per incontrare il destino, per vivere l'ultima notte della giovinezza, verso la partita più importante della storia della Sampdoria, che non era e non sarebbe mai stata una squadra di calcio, con il solo scudo di una bandiera con quattro colori. Ci sono arrivati già cicatrizzati, dopo avere sfiorato la stessa elettricità, dodici mesi prima, in un vecchio quadrangolo di cemento armato, affondato nella tristezza della Svizzera quando piove. La aspettavano da quasi un decennio, questa notte, da quando un giocatore di nome Alviero Chiorri aveva acceso le stelle nel cielo di un pomeriggio a San Siro.

Ci sono giorni che demarcano un "prima" e un "dopo", rispetto a tutto quello che inerte scorre. Il 19 maggio 1991, data della partita (Sampdoria-Lecce 3-0) che sanciva la conquista del primo Scudetto per la società genovese nata 45 anni prima, è un giorno che ognuno ricorda a modo suo. Dopo aver raccontato il successo a San Siro del 22 marzo 1981 con il gol di Chiorri e la finale di Coppa delle Coppe 1990 al Nya Ullevi di Goteborg, Stefano Rissetto - classe 1964, nato a Sestri Levante, rassegnatosi a dire di sé "Scrivere è la sola cosa che so fare, l'unica per cui mi senta chiamato al mondo" - completa la sua trilogia blucerchiata per SoulSamp Books, rievocando la malinconia e il mistero di quelle ore che precedettero e seguirono l'incontro di calcio a Marassi, in uno stadio costruito meno di due anni prima, al posto di quello in cui generazioni di sampdoriani avevano imparato la confortante difficoltà di affezionarsi a una squadra che non sembrava dover crescere mai.

Dalla pioggia lacrimosa di Moena al temporale euforico di Varese: quarantasei partite per ventitremila chilometri di terra, acqua, vento e fuoco, consumati in autostrada come in ferrovia, in volo come in navigazione, negli impianti sportivi spesso minuscoli e semideserti di un'Italia di provincia, lontana dal circo chiassoso del grande calcio. Tanto è valso l'undicesimo campionato in serie B dalla fondazione della Sampdoria, risolto soltanto dopo l'ultimo minuto dell'ultima gara: una strada lunghissima e sofferta, cominciata all'indomani di una retrocessione dalle profonde cicatrici, percorsa tra molteplici sobbalzi e sbagli di percorso, forature ed equivoci, lacrime trattenute di spaesamento e infine liberatorie di un'inusitata felicità.

Tutta la vita in una partita di calcio. Può accadere, se si tratti di Milan-Sampdoria 0-1, gol di Chiorri al 16' della ripresa. Quel 22 marzo 1981, allo stadio di San Siro a Milano, davanti a trentamila persone di cui una su dieci venute dalla riva del mare, il passato e il futuro di una squadra dal nome tirato a sorte e dalla maglia unica al mondo si erano scambiati la parola d'ordine, l'abracadabra perché si avverassero tutti ma proprio tutti i sogni, anche quelli non sognati. La cronaca dice che quel risultato fu inutile; questo romanzo, come spesso fa il calcio, racconta un'altra storia. I giocatori da protagonisti diventano comparse, scendono in platea per far posto sul palco alle figure evocate dallo sguardo dell'autore, che riporta il suo orologio al tempo di un giorno perduto da adolescente impaurito e desideroso dell'età a venire, chiamando in scena un vecchio ragazzo mai conosciuto, un amico prossimo a perdersi, un poeta inarrivabile, un grande talento prodigo di sé fino a dissiparsi nell'attesa, due cattedrali contrapposte l'una di marmo e l'altra di cemento armato, un santuario di parole e una ragazza che non c'era.