Libri di Gianfranco Ferroni
La luce dell'ateo
Gianfranco Ferroni, Antonio Gnoli
Libro
editore: Bompiani
anno edizione: 2009
pagine: 188
"Terroni era nato a Livorno nel 1927. Si trasferì prima nelle Marche, poi a Tradate, seguendo il lavoro del padre ingegnere. Scappò di casa per inseguire un sogno: andò a Milano, si fermò alcuni anni a Viareggio, infine a Bergamo. Tutto in lui richiamava la provvisorietà, gli stenti della guerra, la sopportazione interiore di un'anima destinata alla lacerazione e al silenzio. Chi lo ha conosciuto lo definisce circospetto. L'ospite occasionale che si avventurava nel suo studio milanese poteva ricavare l'impressione di trovarsi in uno spazio governato dal disordine: i colori sparsi sul tavolo, le cicche schiacciate e ammonticchiate nei posaceneri, la polvere uniformemente depositata sui pavimenti, negli interstizi della casa, sui ripiani. Da quel mondo emanava il grigio sentore di una fine annunciata. In realtà Ferroni aveva congelato la vita che gli scorreva intorno. Fermato il battito delle ore, dei minuti, dei secondi. Viveva in una sorta di tempo sospeso. Che era l'esatto opposto del tempo ordinario." (Dalla Prefazione di Antonio Gnoli)
Il silenzio dell'immagine
Gianfranco Ferroni
Libro: Copertina morbida
editore: Le Lettere
anno edizione: 2008
pagine: 112
A suggerire il percorso, la condizione, la poetica nell'opera di Gianfranco Ferroni, viene riunita una sequenza di testi: dalla dichiarazione, dal frammento testimoniale, all'incontro, al dialogo nello studio. Gli scritti degli artisti, proprio per un legame intimo al dato sensibile della pittura, della nota di diario, si presentano per lo più in modi inimitabili. Ciò che commuove nella scrittura di Ferroni è, lungo gli anni, con una punta di paradosso, il tendere al silenzio della parola: un ritrarsi, un restringersi sacrificale in una percezione rispetto ai linguaggi. In un confine, da silenzio a silenzio (come la bellissima luce bianca che invade alcune sue acqueforti), l'opera di Ferroni è intuizione, espressione di temi della contemporaneità: il vuoto, l'abbandono, la malinconia, la memoria come "tempo sospeso", come tempo del tempo. Ecco perché le parole toccanti che ritornano in Ferroni, nella dismisura del silenzio, sono un sentimento di "attesa", "rivelazione". Ecco perché il gesto primo e ultimo della pittura è l'autoritratto, un autoritratto come un disguido destinale: senza simbolo, senza metafora, senza cielo.