Libri di Maurice Blanchot
La scrittura del disastro
Maurice Blanchot
Libro: Copertina morbida
editore: Il Saggiatore
anno edizione: 2021
pagine: 232
«Leggere, scrivere, come si vive sotto la sorveglianza del disastro: esposti alla passività fuori passione. L'esaltazione dell'oblio. Non sarai tu a parlare; lascia parlare in te il disastro, non importa se attraverso l'oblio o il silenzio.» Ultima fra le opere teoriche di Maurice Blanchot, La scrittura del disastro risponde alla necessità di riflettere sul tema del linguaggio poetico e letterario che si era imposta imperiosa con Lo spazio letterario, ma che qui va oltre - «al di là» - il problema di dire ciò che è, al di là del bisogno di appagamento, al di là della descrizione di una totalità. È una ricerca che rompe questa totalità, che turba ogni cosa, e prima di tutto la scrittura. Ha a che vedere con l'interruzione, con la frammentazione, con la catastrofe. Con il disastro. La scrittura stessa allora si frantuma, soccombe a un'esigenza che non trova - che non cerca - la redenzione, ma un'altra possibilità di se stessa. La scrittura diventa qualcosa che porta al meno, all'oblio, al non detto, al mai cominciato. Blanchot recupera gli scrittori amati, antichi (Ovidio) e moderni (Kafka, Melville, Hölderlin), e si confronta con maestri del pensiero come Heidegger e Levinas, per scavare nella non possibilità della parola letteraria, nella possibilità del silenzio senza scopo. Sullo sfondo, Auschwitz, che rivela e mette a nudo «tutte le caratteristiche di una civiltà» e che impone di continuare a «vegliare, senza posa, sull'assenza smisurata». Con uno stile che, adattandosi al disastro, si fa fratto e ossimorico, Maurice Blanchot invita alla lettura chiedendole di rinnovarsi e continua la meditazione che ha praticato (e che lo ha guidato) per tutta la vita, scardinando quanto è venuto prima. Perché «c'è domanda, eppure nessun dubbio; c'è domanda, ma nessun desiderio di risposta; c'è domanda, e nulla che possa essere detto, ma solo da dire».
Passi falsi
Maurice Blanchot
Libro: Copertina morbida
editore: Il Saggiatore
anno edizione: 2020
pagine: 392
«Non aver niente da esprimere dev'esser preso nel senso più semplice. Qualunque cosa lo scrittore voglia dire è niente. Il mondo, le cose, il sapere non sono per lui se non dei punti di riferimento attraverso il vuoto. E lui stesso è già ridotto a niente. Il nulla è la sua materia. Respinge le forme attraverso cui questa gli si offre come se fosse qualcosa. Vuole coglierla non in un'allusione, ma nella sua propria verità.» Prima raccolta di saggi di Maurice Blanchot, "Passi falsi" è uno snodo nello sviluppo del pensiero del critico francese. A fondamento di questo corpo di brevi analisi monografiche è l'indagine, letteraria e filosofica, sull'atto dello scrivere. Blanchot riflette sulla necessità di una transizione dai paradossi dell'angoscia a quelli del linguaggio. Lo fa senza mai disattendere le tensioni affettive che si fissano alle espressioni linguistiche, sottolineando però che il pathos dell'angoscia è, in ultima istanza, grottesco. «Uno scrittore che scrive: "Sono solo", o come Rimbaud: "Sono veramente d'oltretomba", può venir giudicato quasi grottesco» dichiara Blanchot, poiché «è grottesco prender coscienza della propria solitudine rivolgendosi a un lettore, e con mezzi che impediscono all'uomo di essere solo.» Nell'indagine di Blanchot queste contraddizioni del linguaggio rivelano una carenza, un'assenza costitutiva, una totalità connotata dal segno meno, un vuoto centrale che rappresenta nel contempo l'irraggiungibile luogo d'origine della letteratura. Con Blanchot la linea di demarcazione fra opera critica e opera autoriale, tra critico e scrittore, si dissolve; protagonista assoluto è il linguaggio, esplorato nei saggi sulla poesia e sulla narrazione, sul silenzio e sul simbolismo, sul romanzo e sulla morale, sullo straniero, sull'enigma, sul tempo. E infine sulla possibilità stessa della letteratura in Blake, Balzac, Rimbaud, Gide, Rilke, Bataille, Sartre, Camus, Queneau e altri ancora. Frutto di una delle menti più fini della critica novecentesca, "Passi falsi" ci rammenta che il segreto della letteratura non è stato tradito: la fascinazione continua.
Il libro a venire
Maurice Blanchot
Libro: Copertina morbida
editore: Il Saggiatore
anno edizione: 2019
pagine: 285
Proust e Artaud, Musil e Hesse, Joubert e Rousseau: questi alcuni degli autori scandagliati nel "Libro a venire". Qui Maurice Blanchot affronta di petto le questioni primarie della scrittura: l'oscura esigenza di scrivere e la morte a cui è condannato ogni autore - quella cui si consegnò Blanchot stesso -; l'antica necessità di mettere l'infinito in una parola e la lotta contro il demone della vocazione; l'incontro con l'immaginario e lo scontro con le leggi segrete del racconto; la metamorfosi del tempo in spazio narrativo e l'insufficienza del linguaggio; il dolore della lettura e l'incomunicabilità della critica letteraria. Soprattutto affronta la domanda ineludibile: dove va la letteratura? Blanchot prova a immaginare la morte dell'ultimo scrittore, col quale sparirebbe il piccolo mistero della scrittura. Non è improbabile: l'era senza parola è già stata e sarà ancora realtà. Un'epoca in cui non solo non esisteranno nuove opere, ma sarà vieppiù impossibile rifugiarsi nelle antiche, perché i signori di quel tempo decreteranno il rogo della Biblioteca di Alessandria, di tutti i libri e di tutti i saperi. Allora l'arte sarà morta, e sorgerà una nuova dittatura. Oppure verrà il Libro: quello premeditato da Mallarmé nel 1866, che Blanchot descrive come un libro a più facce - una rivolta verso il Nulla, un'altra verso la Bellezza. Un libro senza autore, impersonale. Un libro assente, che poggia sul riconoscimento dell'irrealtà, che non sussiste davvero, non si può tenere in mano: un passato inconsumato e un avvenire impossibile. Un libro senza lettore. Raccolta di brevi saggi pubblicati a partire dal 1953 sulla Nouvelle Revue Franoise sotto il titolo «Recherches» e apparsi in volume nel 1959, "Il libro a venire" è fedele alla propria ispirazione originaria: mantenere aperta la ricerca in quel territorio in cui trovare è mostrare tracce e non inventare prove. Frutto dell'età aurea della letteratura, della critica e della filosofia francesi del Dopoguerra, è un'opera che sa nominare l'innominabile, dotata di una forza che supera passaggi di secolo, mutamenti sociali e tecnologici, declino delle arti. Il capolavoro di uno dei massimi teorici novecenteschi della letteratura, che non cessa di parlarci.
La conversazione infinita. Scritti sull'«insensato gioco di scrivere»
Maurice Blanchot
Libro: Copertina morbida
editore: Einaudi
anno edizione: 2015
pagine: 523
"La conversazione infinita" è senza dubbio il libro chiave di Maurice Blanchot e uno dei libri più inquieti, singolari e stimolanti di critica letteraria del secondo Novecento. Anche qui, come negli altri libri dell'autore, la riflessione muove da testi, autori, studi, problemi proposti volta a volta dall'attualità. Questi incontri appartengono spesso alla produzione letteraria, a volte sono "recensioni" a libri di sintesi interpretativa trascese in un rapporto libero; ma sempre in una prospettiva generale di pensiero. In confronto agli altri lavori di Blanchot, questo appare dunque più filosofico; più frammentato e insieme più compatto. I singoli testi si susseguono in una fitta polifonia che riprende e sospende, nel tessuto discontinuo delle occasioni critiche, una serie di interrogativi sempre più essenziali. La complessità del discorso viene evidenziata nei capitoli di raccordo stesi in forma di dialogo, dove la polarizzazione della ricerca, nell'alternanza di due voci disincarnate, obbedisce a una funzione organizzativa, all'esigenza di regolare i tempi e i livelli di approfondimento. Tra le parti più intense del volume quella introduttiva in forma di dialogo, coi temi apparentemente misteriosi della "fatica", della "benevolenza", dell'"evento"; le pagine sul significato dell'Ebraismo, quelle sui terroristi; su Orfeo, Don Giovanni, Tristano; sul "quotidiano"; sul narrare; sulla critica; e la ricapitolazione finale su "L'assenza di libro".
Lo spazio letterario
Maurice Blanchot
Libro: Libro in brossura
editore: Il Saggiatore
anno edizione: 2018
pagine: 303
«Chi scava il verso incontra l'assenza degli dèi»: così Maurice Blanchot dà voce a chi ha avuto il privilegio e insieme la sventura di essere colpito dall'anatema della letteratura. Blanchot scende negli abissi della disperazione di Mallarmé, indaga le contraddizioni di un Kafka annientato dalla solitudine, scandaglia l'infinito mormorio della scrittura automatica surrealista, si smarrisce insieme a Rilke e al suo Orfeo, simbolo dell'orgogliosa trascendenza poetica. Saggio di lapidaria verticalità filosofica, "Lo spazio letterario" si interroga sul significato dell'opera, sull'identità dello scrittore, sull'ispirazione poetica. Enigmi al cospetto dei quali, lo si avverte fin dalle prime pagine, Blanchot lotta come fossero i suoi demoni, con lucida ossessione, e che finisce per consegnare purificati alla loro nuda essenza. Il punto di partenza coincide con quello di arrivo, ovvero lo scacco dello scrittore: l'origine dell'opera è irraggiungibile per chi scrive e il desiderio di avvicinarne il centro diventa vocazione, imperativo, tormento, perché trascina in una regione estranea al mondo e a se stessi. Una regione in cui non si può dire «io», in cui bisogna abbandonare tutto e morire di morte anonima per dare alla luce un'opera che nel suo essere è già altro da sé. Apparso nel 1955 e ora presentato dal Saggiatore in una nuova traduzione e con uno scritto di Stefano Agosti, Lo spazio letterario ha fatto del suo autore la punta di diamante della critica letteraria del Novecento e una figura di riferimento per intellettuali come Barthes, Foucault, Lacan e Derrida. Il suo fascino non manca ancora oggi di spalancare la riflessione sulla scrittura, sul difficile ruolo di chi si trova a duellare con l'impossibilità della parola, a spingersi in quell'esperienza che è incessante ricerca e mai approdo. Cancellato l'autore, destituito il lettore, quel che resta è il silenzio dell'opera.
Nostra compagna clandestina. Scritti politici (1958-1993)
Maurice Blanchot
Libro: Libro in brossura
editore: Cronopio
anno edizione: 2004
pagine: 263
Questo volume raccoglie vari testi, quasi tutti inediti in italiano, scritti da Maurice Blanchot tra il 1958 e il 1993 per riviste e quotidiani, oltre che in forma di lettera aperta o come parte di manifesti e di dichiarazioni collettive. Organizzati cronologicamente e tematicamente, questi testi permettono di cogliere alcune fondamentali linee di forza dei pensiero politico maturo di Blanchot così come si sono costituite nel confronto con gli eventi storici e alla prova del reale. Rigore di analisi e senso acuto della responsabilità traspaiono da pagine in cui già è presente, come allo stato puro, molto di ciò che Badiou, Deleuze, Foucault, Nancy e altri tenteranno poi di concettualizzare.
Joë Bousquet e Maurice Blanchot. Letture incrociate
Maurice Blanchot, Joë Bousquet
Libro
editore: Il Capitello del Sole
anno edizione: 1999
pagine: 52
Per l'amicizia
Maurice Blanchot
Libro: Copertina morbida
editore: Cronopio
anno edizione: 2021
pagine: 70
Nel folgorante "Pour l'amitié", qui presentato per la prima volta al lettore italiano, Maurice Blanchot rievoca l'amicizia con Dionys Mascolo ai tempi dell'occupazione tedesca della Francia e si interroga sul rapporto tra amicizia ed esigenza politica: la resistenza contro i tedeschi, la difesa del movimento algerino d'indipendenza, l'impegno nella rivoluzione del Maggio '68. Ma se tra compagni ci si dà del tu, Blanchot e i suoi amici anche nel vivo dell'impegno politico continuano a darsi del lei, perché l'amico è l'Altro «che non mi lascia mai tranquillo», che mi fa godere «della sua Altezza, di ciò che lo rende sempre più vicino al Bene di quanto lo sia 'io'».
La parte del fuoco
Maurice Blanchot
Libro: Libro in brossura
editore: Il Saggiatore
anno edizione: 2025
pagine: 384
Pubblicato nel 1949, "La parte del fuoco" è tra i primissimi tentativi da parte di Maurice Blanchot di ordinare le sue visioni e speculazioni sulla letteratura. Un’opera organica che indaga i libri dei grandi autori della contemporaneità per ragionare su che cosa sia il linguaggio letterario, questo fuoco che avvinghia e brucia chi scrive. Ricorrendo agli strumenti della critica e della filosofia, nei ventidue saggi raccolti Blanchot non vuole spiegare i testi che analizza, né tenta di decifrarli o di interpretarli, ma si concentra sulle ragioni profonde e necessarie che li hanno generati. Attraverso le parole di scrittori del passato come Mallarmé, Kafka e Rilke, ma anche quelle dei coevi Hemingway, Sartre e Camus, Blanchot sfida l’enigma inesauribile del «fare» letteratura: quel meccanismo per cui il linguaggio si trasforma in una pira pronta ad avvolgere la parte di sé che si proietta sulla pagina. Con rigore, visione e lucidità, Blanchot ci mostra l’importanza della ripetizione, quale rapporto esista tra parola e morte e, soprattutto, come l’opera non sia determinata dalla scrittura ma dallo spazio vuoto lasciato da ciò che non può essere detto. Libro seminale, dai contorni oscuri ma capace di influenzare generazioni di lettori, "La parte del fuoco" è un esercizio sull’impossibilità della letteratura, che si consuma nell’atto stesso di esistere abbandonando dietro di sé solo le braci della parola: un invito ambizioso a scoprire cosa rimane di noi dopo che siamo stati inghiottiti dalle fiamme della lingua.
La comunità inconfessabile
Maurice Blanchot
Libro: Libro in brossura
editore: SE
anno edizione: 2024
pagine: 112
«Blanchot scrisse "La comunità inconfessabile" in risposta all'articolo che avevo pubblicato con il titolo La comunità inoperosa, mentre stavo già lavorando per ampliarlo in un libro. Fui colpito da questa risposta, anzitutto perché l'attenzione così marcata da parte di Blanchot dimostrava l'importanza del tema, non soltanto per lui ma, attraverso di lui, per tutti coloro che sentivano una necessità imperiosa, anche violenta, di rimettere in questione quel che il comunismo aveva occultato così potentemente come l'aveva fatto sorgere: l'istanza del «comune» – ma anche il suo enigma o la sua difficoltà, il suo carattere non dato, non disponibile, e in questo senso il meno «comune» del mondo. […] Ciò che è inconfessabile, non è indicibile. Al contrario, l'inconfessabile non finisce di essere detto o di dirsi nell'intimo silenzio di coloro che potrebbero ma non possono confessare. Immagino che Blanchot volesse intimarmi questo silenzio e quel che significa: ordinarmelo e farlo entrare nella mia intimità, come l'intimità stessa – l'intimità di una comunicazione o di una comunità, l'intimità di una sorta d'opera intima più nascosta di ogni inoperosità – rendendolo possibile e necessario ma senza lasciarsi dissolvere in esso». (Dallo scritto di Jean-Luc Nancy)
Thomas il solitario
Maurice Blanchot
Libro: Libro in brossura
editore: Orthotes
anno edizione: 2023
pagine: 296
Ritrovato nell’archivio di Maurice Blanchot dopo la sua morte nel 2003, Thomas il solitario può essere considerato a tutti gli effetti il primo romanzo – rimasto inedito fino a oggi – di una delle figure più singolari del panorama intellettuale francese del ’900. Scritto verosimilmente durante gli anni 1931-1937, il romanzo costituisce l’originaria versione di Thomas l’oscuro preservando tuttavia una struttura narrativa del tutto compiuta e autosufficiente. Verificato sul manoscritto e sul dattiloscritto dell’autore, Thomas il solitario rappresenta indiscutibilmente un documento di centrale importanza in cui i lettori (vecchi e nuovi) di Blanchot potranno assistere al lento tratteggiarsi di un romanzo (e forse, più ancora, di una scrittura) che continua a brillare come insuperato tentativo di contravvenire alle regole più o meno consolidate della narrazione. Le vicende di Thomas, il protagonista, s’intrecciano con quelle di altre figure (come Anne o Irène) in un gioco di metamorfosi che sembra rievocare l’originarsi stesso della vita dell’universo insieme alla sua strenua lotta con la morte. Sconcertante e unico, Thomas il solitario non si lascia classificare con facilità e impone al lettore l’abbandono di qualunque pretesa di raccogliere in unità il senso di una storia sempre in fuga da se stessa, sempre al di là dei suoi stessi confini, sempre condotta sul filo di un abisso di cui restituisce magistralmente la vertigine.