Einaudi: EINAUDI STORIA
Le lacrime di Roma. Il potere del pianto nel mondo antico
Sarah Rey
Libro
editore: Einaudi
anno edizione: 2020
pagine: 164
Tesi di fondo di questo libro è che nell'antica Roma il pianto è alquanto diffuso e accompagna gli avvenimenti della vita pubblica e privata. Si tratta di esercitare un potere politico e simbolico: per aumentare la loro autorità, senatori, imperatori e brillanti condottieri non esitano a versare lacrime. Esse vengono usate nelle più svariate situazioni: per esprimere la sofferenza del lutto, la volontà di espiazione quando oscuri presagi appaiono minacciosi, la paura di un'esclusione sociale per cui si invoca la tradizione della propria famiglia; per manifestare la propria grandezza d'animo davanti agli sconfitti. L'autrice si sofferma poi sul messaggio politico che le lacrime diffondono, sul momento calibrato in cui compaiono. Esamina con cura testi e tradizioni, sconfessando l'immagine monolitica dei romani come un popolo duro e crudele. Il tema del libro ha un interesse generale, in un momento in cui si recupera lo studio delle emozioni, la loro spontaneità o la loro calcolata esternazione, il loro ruolo nelle traiettorie individuali nelle relazioni interpersonali. Nel gennaio 2016 il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha pianto in pubblico. Sottolineando l'intreccio di forza e debolezza, la stampa si è interrogata: «Obama ha reso accettabile il fatto di piangere in pubblico?» In realtà la novità è meno importante di ciò che lascia intravedere: un'attenzione collettiva verso le lacrime. Il dato che forse colpisce di più è che tale attenzione nasce da una dimenticanza. Le lacrime un tempo erano frequenti, tanto in pubblico quanto in privato. Nella Roma antica fornivano un ausilio imprescindibile al politico, erano l'arma preferita degli oratori e il mezzo con cui distinguersi dal volgo. Contribuivano anche a veicolare i presagi riguardanti la città. Le lacrime, insomma, scorrevano abbondanti tra i romani. Gli imperatori, il popolo, i senatori, i soldati piangono. I dibattiti pubblici, i processi, le ambasciate, tutto è pretesto per riversare emozioni. Più dei greci, che già piangevano abbastanza, i romani hanno la lacrima facile. Essi vengono spesso dipinti come conquistatori spietati (e lo erano). Ma se ne mostrano troppo poco i momenti di fragilità. Così la (cattiva) reputazione dei romani ha scoraggiato finora qualunque ricerca generale sulle lacrime, mentre i lamenti degli eroi greci hanno fatto versare fiumi d'inchiostro. In questa storia della forza romana al rovescio bisogna accettare di non riconoscersi, di rimanere spaesati. I comportamenti sociali dei romani, tanto spesso punteggiati di lacrime, ci disorientano. Ma fare un passo di lato permette di vedere più chiaro.
Decapitate. Tre donne nell'Italia del Rinascimento
Elisabeth Crouzet Pavan, Jean-Claude Maire Vigueur
Libro
editore: Einaudi
anno edizione: 2019
pagine: 368
Tra il 1391 e il 1425 tre donne sono decapitate per ordine dei loro mariti. Spose di tre fra i piú importanti signori dell'Italia del Rinascimento - di Mantova, Milano, Ferrara - Agnese Visconti, Beatrice di Tenda e Parisina Malatesta sono condannate a morte per adulterio. Eppure nessuna donna infedele subiva allora un tale castigo; inoltre, altra stranezza, invece di dissimulare tale condanna alla pena capitale, i tre signori la resero, al contrario, pubblica. Si tratta di un enigma storico che Élisabeth Crouzet-Pavan e Jean-Claude Maire Vigueur intendono svelare. Certamente queste tre donne hanno tradito i loro mariti, ma sono soprattutto colpevoli di aver tentato di prendere parte alle grandi innovazioni culturali e politiche del loro tempo. Sono punite per aver voluto trasgredire lo statuto tradizionalmente scialbo di «sposa del signore». Condannandole a morte, i loro mariti riaffermano simbolicamente il loro potere di principi. Questo libro è nato da un'osservazione, o piuttosto, come spesso accade nell'esistenza dello storico, da un'intuizione. Essa indicava che era davvero sorprendente che tre donne, spose tutte e tre di signori, in quanto ritenute adultere fossero state giustiziate dai loro mariti nell'arco di un periodo relativamente breve, poco piú di trent'anni, tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo. E quell'intuizione suggeriva invece che, nella storia dell'Italia del Nord al tempo del primo Rinascimento, con queste tre morti erano avvenuti tre eventi singolari. Chi erano dunque queste tre donne? La prima si chiamava Agnese Visconti e fu decapitata nel 1391; la seconda, Beatrice di Tenda, morí nel 1418; la terza, Parisina Malatesta, fu giustiziata nel 1425. Quanto ai loro mariti, figuravano tra i personaggi piú importanti dell'Italia del tempo. Agnese, infatti, aveva sposato Francesco Gonzaga, signore di Mantova; il marito di Beatrice non era altri che il duca di Milano, Filippo Maria Visconti; Parisina era invece la seconda sposa di Niccolò III d'Este, signore di Ferrara. Il crimine che le aveva condotte alla morte era lo stesso per ognuna di loro: aver commesso adulterio con un uomo che, riconosciuto colpevole del medesimo crimine, venne giustiziato assieme a colei che era, o sarebbe stata, la sua amante. Lo scopo del libro è non tanto ricostruire la loro vita - esercizio in ogni caso quasi impossibile - quanto cercare di comprendere ciò che poté legittimare, nella storia di queste coppie signorili, un simile evento: tre morti per decapitazione.
Karl Marx. Biografia intellettuale e politica (1857-1883)
Marcello Musto
Libro: Copertina rigida
editore: Einaudi
anno edizione: 2018
pagine: 330
Molti biografi hanno separato la narrazione dell'esistenza di Marx dalla sua elaborazione teorica. Gli studi accademici a lui dedicati hanno, invece, spesso ignorato i principali eventi della sua vita che, al contrario, influirono notevolmente sulla realizzazione dei suoi progetti. Inoltre, l'imponente mole di lavoro realizzata da Marx dopo la pubblicazione del Capitale e le idee innovative che ne derivarono non sono state esplorate con la dovuta attenzione. Sulla base delle nuove pubblicazioni della MEGA2, Musto dimostra che, nel periodo 1857-1883, Marx svolse con straordinaria intensità la critica dell'economica politica e ampliò il raggio delle sue ricerche a nuove discipline e aree geografiche. Egli studiò le forme della proprietà comune nelle società precapitaliste, intraprese indagini di antropologia e scienze naturali, analizzò lo sviluppo del capitalismo negli Stati Uniti e si interessò alle trasformazioni in atto in Russia a seguito dell'abolizione della servitù della gleba. Allo stesso modo fu acuto osservatore dei principali avvenimenti di politica internazionale della sua epoca e deciso sostenitore dell'indipendenza nazionale della Polonia, dell'abolizione della schiavitù durante la Guerra di Secessione Americana e della lotta per la liberazione dell'Irlanda. Al contempo, egli manifestò la più ferma opposizione al colonialismo. Questo libro documenta, con grande scrupolosità, che Marx non si occupò solo del conflitto tra capitale e lavoro e ribalta il mito, in voga negli ultimi anni, di un autore economicista ed eurocentrico.
La mala setta. Alle origini di mafia e camorra (1859-1878)
Francesco Benigno
Libro: Copertina rigida
editore: Einaudi
anno edizione: 2015
pagine: 403
Questo libro si propone di affrontare in modo nuovo la questione del crimine organizzato italiano nella seconda metà del XIX secolo, utilizzando la categoria di "classi pericolose". Questa impostazione è diversa dalla prospettiva, comunemente adottata, che punta viceversa a studiare il crimine organizzato ottocentesco ex post, per cosi dire, "dall'oggi", e cioè a partire dalle forme e dalle strutture che la criminalità organizzata si è data durante il secondo dopoguerra. Vi è al fondo di questa prospettiva un residuo di un pregiudizio di stampo romantico, l'idea per cui vi siano dei soggetti separati, "i criminali", intesi come un popolo a parte, portatore di inequivocabili stigmate comportamentali e attitudinali che li rendono sempre uguali a sé stessi malgrado il tempo trascorso. L'adozione del modello delle "classi pericolose" consente invece di muoversi in direzione opposta, basandosi sulla concezione del crimine condivisa nell'Ottocento. Tutto ciò ha conseguenze importanti. Piuttosto che considerare, ad esempio, l'analisi della mafia delle origini come una sorta di premessa utile a sceverare le radici lunghe di pratiche criminali che daranno poi luogo nel XX secolo a "Cosa nostra", esso invita invece a immergersi nella confusione dei discorsi e delle pratiche di quell'epoca.
Famiglia Novecento. Vita familiare, rivoluzione e dittature 1900-1950
Paul Ginsborg
Libro: Copertina rigida
editore: Einaudi
anno edizione: 2013
pagine: 678
Questo libro stabilisce un collegamento costante tra la storia della famiglia e la più ampia e drammatica storia della prima metà del Novecento. Finora nessuna storia del XX secolo aveva posto al centro della propria analisi la famiglia né aveva esaminato i momenti chiave della rivoluzione e della dittatura attraverso le lenti della vita familiare. Ginsborg attinge a un repertorio sterminato di fonti e letture per mettere insieme immagini e storie che fotografano le dinamiche familiari e il loro contesto sociale e politico. Coniugando storia sociale, narrazione biografica e storia della cultura, Ginsborg concentra la sua indagine comparativa su cinque paesi: la Russia, nel passaggio dall'Impero allo Stato sovietico; la Turchia, dall'Impero ottomano alla Repubblica; l'Italia fascista; la Spagna della rivoluzione civile; e la Germania, da Weimar allo Stato nazista. Costruendo ogni capitolo come una piccola biografia di un personaggio emblematico - da Halide Edib e Margarita Nelken, ad Aleksandra Kollontaj; dal gerarca nazista Goebbels al futurista Marinetti e al comunista Gramsci - lascia intravedere sullo sfondo la vita familiare degli stessi grandi dittatori - Stalin e Hitler ma anche Atatürk, Franco e Mussolini. Emerge un quadro in cui le risorse delle famiglie affetti, rete, solidarietà, segreti e lealtà - si fanno sentire anche quando il loro mondo sembra totalmente schiacciato dai regimi dittatoriali.
Vita di Alberto Pirelli (1882-1971). La politica attraverso l'economia
Nicola Tranfaglia
Libro
editore: Einaudi
anno edizione: 2010
pagine: 340
Nato a Milano nel 1882, Alberto Pirelli (padre di Leopoldo e Giovanni) guidò l'azienda di famiglia dal 1904 fino al 1965, dedicandosi allo sviluppo in Italia e all'estero dell'industria della gomma e dei cavi elettrici, oltre che di industrie tessili e chimiche: più di mezzo secolo durante il quale la Pirelli divenne un importante gruppo internazionale con quasi cento stabilimenti nel mondo. Dal 1920 al 1922 rappresentò l'Italia nell'Ufficio Internazionale del Lavoro a Ginevra e successivamente nel Comitato Economico della Lega delle Nazioni. Dal 1919 al 1939 fu il negoziatore italiano in tutte le trattative ufficiose ed ufficiali che condussero ai successivi regolamenti del problema delle riparazioni di guerra da parte della Germania, dell'Austria e dell'Ungheria. Fu nominato Ministro Plenipotenziario nel 1924 e Ministro di Stato nel 1938. Complessi furono i rapporti all'interno della famiglia, in particolare col figlio Giovanni: un continuo confronto ideologico-politico tra un figlio eretico e di sinistra e un padre illuminista, convinto che "è alla costante evoluzione della vita sociale, non alle rivoluzioni, che si deve soprattutto il progresso".
Berlinguer e la fine del comunismo
Silvio Pons
Libro: Copertina rigida
editore: Einaudi
anno edizione: 2006
pagine: 265
La personalità e l'azione di Enrico Berlinguer devono essere comprese, secondo l'autore, alla luce del suo tentativo di riformare il comunismo e al tempo stesso di presidiare i confini dell'identità comunista. La sua ambizione fu di realizzare un nuovo modello di socialismo all'Ovest, in grado di cambiare la cultura politica e i regimi all'Est. Tuttavia egli non seppe riconoscere che la crisi del comunismo sovietico metteva in discussione radicalmente anche l'identità del PCI. Silvio Pons, docente di Storia dell'Europa all'Università di Roma "Tor Vergata" e direttore della Fondazione Istituto Gramsci, è autore o curatore di numerosi volumi dedicati alla storia della Russia sovietica e del comunismo italiano e internazionale.
Africani europei. Una storia mai raccontata
Olivette Otele
Libro: Copertina rigida
editore: Einaudi
anno edizione: 2021
pagine: 232
La straordinaria storia degli africani europei che rivela antichi e svariati legami tra due continenti. Nel III secolo d.C. san Maurizio, un egiziano, divenne capo di una leggendaria legione romana. Fin da allora ci sono stati innumerevoli incontri tra quelli che sono definiti «africani» con coloro che vengono definiti «europei». Eppure ancora oggi si ritiene perlopiù che gli africani e gli africani europei siano in Europa una presenza recente. Olivette Otele ricostruisce un ampio retaggio afroeuropeo attraverso le vite di individui comuni e straordinari. Svela cosí un passato dimenticato, da quello dell'imperatore Settimio Severo a quello di africani ridotti in schiavitù che vivevano in Europa durante il Rinascimento; fino a giungere ai migranti dei nostri giorni che si dirigono verso le città europee. Nell'esplorare una storia che è stata ampiamente trascurata, Otele getta luce su questioni di grande attualità: il razzismo, l'identità, il potere e la resilienza. Olivette Otele è docente di Storia e Memoria della schiavitù presso l'Università di Bristol ed è vicepresidente della Royal Historical Society. È un'esperta di storia dei popoli di discendenza africana e delle relazioni tra memoria geopolitica e le eredità del colonialismo francese e inglese. Sono stati scritti molti libri preziosi sulle vite dei neri nei contesti geografici più disparati. Ma solo un numero ridotto di essi si occupa nello specifico dell'esperienza delle persone di origine africana in Europa prima dei due conflitti mondiali. Africani europei va a fondo nelle pieghe della storia europea in Africa e, viceversa, della storia africana in Europa, per capire come questi due continenti si siano contaminati a vicenda fin dall'antichità. Un esempio di questo scambio mai proficuo per la parte africana: san Maurizio veniva dall'Egitto e divenne capo di una legione romana nel III secolo d.C. ed è infatti spesso raffigurato come un santo dalla pelle nera. Proprio questo è il punto: la storia degli africani in Europa è sempre stata raccontata per eccezionalismi, ovvero singole figure che arrivavano da un altro continente e diventavano protagonisti di storie d'amore, spiritualità e violenza. Olivette Otele invece, per la prima volta, tenta di raccontarne la storia completa, eccezionale perché di tutti. Il suo obiettivo è offrire una molteplicità di storie che siano un punto di partenza per studiare il passato e smantellare l'oppressione razziale nel presente, decifrare connessioni temporali e spaziali, sfatare miti persistenti e riportare alla luce le vite degli afroeuropei. Africani europei è un omaggio a storie - africane, europee e mondiali - di collaborazione, migrazione, resilienza e creatività che aspettavano da secoli di essere raccontate.
Mangiare Dio. Una storia dell'eucarestia
Matteo Al Kalak
Libro: Copertina rigida
editore: Einaudi
anno edizione: 2021
pagine: 272
L'eucarestia: un paradosso e uno scandalo, ripetutamente evocato nell'Occidente cristiano. Il legame tra il pane dell'eucarestia e la sostanza del corpo di Cristo è un connotato distintivo del mondo cristiano. Per quanto ai culti antichi non fosse estraneo il sacrificio della divinità e i pasti rituali fossero un uso comune, l'eucarestia conserva elementi di radicale irriducibilità ad altri sistemi cultuali e dottrinali. I cristiani furono investiti pressoché subito da accuse di cannibalismo, che si saldarono con imputazioni di infanticidio, incesto e altre immoralità che avevano nella carne il loro denominatore comune. La pratica di "mangiare Dio" scandalizzò molti pagani e continuò a costituire una pietra d'inciampo lungo i due millenni di vita della Chiesa. Messa in discussione da teologi e pensatori medievali, contestata ai tempi della Riforma protestante, l'eucarestia resta un sacramento controverso, difficile da comprendere e, allo stesso tempo, essenziale. Il libro di Al Kalak ripercorre con acutezza le diverse modalità con cui il corpo di Dio entrò nella vita dei credenti, con un'attenzione particolare all'Italia cattolica: una storia in bilico tra spirito e materialità, che non smette di animare il dibattito fino a noi. La pratica di mangiare Dio scandalizzò molti pagani, e i padri della Chiesa - da Tertulliano a Minucio Felice - dovettero ribattere punto su punto per spiegare la natura del pasto eucaristico e la sua diversità rispetto ai culti misterici. Si trattava di un paradosso che, nei ricorsi della storia, sarebbe stato evocato di nuovo, ricomparendo nel pieno della contrapposizione interna alla cristianità ai tempi della Riforma protestante. Sulla spinta della frantumazione religiosa innescata da Lutero, l'Occidente cristiano si trovò diviso sul valore da attribuire al pasto consumato da Cristo prima di morire. Se per i luterani la fisicità del corpo di Gesù, con la sua carne e il suo sangue, rimase in qualche modo un connotato del sacramento, per la maggior parte dei riformati nell'ostia non si poté scorgere nulla di più che una presenza spirituale (e spesso nemmeno quella). Il legame tra il pane dell'eucarestia e la sostanza del corpo di Cristo divenne un connotato distintivo del mondo cattolico. L'intento di questo libro è ripercorrere le diverse modalità con cui il sacramento entrò nella vita dei credenti e nelle dinamiche comunitarie, in una tensione, appunto, tra spirito e materialità. Studiare le diverse declinazioni della prassi e della devozione eucaristica consente infatti di far emergere la pervasività del sacramento rispetto alla società che la Chiesa tentò di plasmare e, allo stesso tempo, di cogliere i problemi che il prodigioso potere della carne e del sangue di Dio creò alle stesse autorità che ne propagavano gli effetti e ne perpetuavano l'esistenza.
I comunisti italiani e gli altri. Visioni e legami internazionali nel mondo del Novecento
Silvio Pons
Libro: Copertina rigida
editore: Einaudi
anno edizione: 2021
pagine: 376
A cent'anni dalla scissione di Livorno del gennaio 1921, questo libro rilegge protagonisti e momenti principali della storia del comunismo italiano in un'ottica internazionale, fino alla sua conclusione dopo la caduta del Muro di Berlino nel novembre 1989. I comunisti italiani si rappresentarono sempre come una forza nazionale e internazionale, seppure declinando i due termini in modi assai diversi tra loro nel corso del tempo. Silvio Pons ricostruisce le loro visioni, i legami e le strategie come un particolare caso di studio del comunismo globale. Tramite l'intera parabola del Pci, è possibile vedere i nessi e le interazioni molteplici tra la storia italiana e questioni cruciali del Novecento quali l'impatto della rivoluzione bolscevica nel 1917, le esperienze dell'antifascismo e dello stalinismo, la guerra fredda e la divisione dell'Europa, la decolonizzazione e la nascita del mondo postcoloniale, il «Sessantotto globale», il ruolo della Comunità Europea, la fine del comunismo in Europa. Silvio Pons rilegge visioni, legami, protagonisti e momenti principali nella storia del comunismo italiano come un particolare caso di studio del comunismo globale. La cultura politica espressa da gruppi dirigenti a forte vocazione intellettuale e da personalità come Gramsci, Togliatti, Berlinguer viene analizzata nelle visioni dell'ordine europeo e mondiale, nella costruzione di senso dei nessi tra identità nazionali e appartenenze internazionali, nell'approccio ai temi della pace e della guerra. L'internazionalismo fu una genealogia rivoluzionaria, un fondamento simbolico, un complesso di pratiche e una cultura condivisa. I comunisti italiani si ritagliarono un posto specifico nel progetto globale nato nel 1917, dando vita al principale partito comunista in Occidente e proponendosi come coscienza critica di una «comunità immaginata» su scala mondiale. Più di ogni altra cultura politica italiana, si legarono a influenze e connessioni transnazionali, con il risultato controverso di contribuire alla frattura della comunità nazionale nella guerra fredda e di esercitare un'opera di mediazione oltre i confini e le rappresentazioni dell'ordine bipolare. Il loro internazionalismo si trasformò nel corso del tempo, sebbene senza mai recidere del tutto il legame esistenziale con la matrice originaria, fino a confluire nella visione dell'Europa come soggetto della politica mondiale. Un'eredità che ha senso rivisitare oggi, in un tempo che registra il declino degli internazionalismi del secolo scorso mentre il mondo transnazionale stenta a emergere.
Aspettando l'imperatore. Principi italiani tra il papa e Carlo V
Elena Bonora
Libro: Copertina rigida
editore: Einaudi
anno edizione: 2014
pagine: 285
La notte del 18 settembre 1549 il cardinale di Ravenna Benedetto Accolti muore di un colpo apoplettico a Palazzo Medici. Poco dopo, messi e staffette s'incrociano, portando non solo la notizia della scomparsa del porporato, ma anche allarmate missive che riguardano il destino delle sue carte. Due cardinali (Ercole Gonzaga e Giovanni Salviati) e due principi (Cosimo de' Medici ed Ercole II d'Este) sono terrorizzati all'idea che la corrispondenza dell'Accolti finisca nelle mani sbagliate. Le informazioni, le decisioni e i progetti che trovano espressione in questo carteggio avvolto dal segreto possono contare su risorse finanziarie ingenti, su protezioni di altissimo livello, su vaste reti di fedeltà cortigiane, su alleanze dinastiche e matrimoniali. Parlano del papa e dell'imperatore e della lotta tra i due giganti: contengono un intero mondo. A partire da questa preziosa corrispondenza, sino a oggi ignota agli studiosi della crisi religiosa e politica cinquecentesca italiana, Elena Bonora ricostruisce magistralmente l'Italia di Carlo V, riportando alla luce l'intricata rete filoimperiale che collegava tra loro le corti più influenti della penisola e il suo fallimento finale.
Argomenti per lo sterminio. L'antisemitismo e i suoi stereotipi nella cultura europea (1850-1920)
Francesco Germinario
Libro: Copertina rigida
editore: Einaudi
anno edizione: 2011
pagine: 396
Fra la prima metà dell'Ottocento e gli inizi del Novecento in Europa si afferma una cultura che procede sicura nella razzizzazione della figura dell'ebreo. È il caso di dire che la cultura "alta" - espressa da scrittori, scienziati sociali, medici e famosi pubblicisti - legittima gli atteggiamenti dell'antisemitismo militante, impegnati nelle agitazioni di piazza. Ecco perché, vista dall'angolazione delle rampe di selezione di Auschwitz-Birkenau, la cultura europea non può rivendicare patenti di immunità o di innocenza. La cultura politica antisemita ha agito semmai da amplificatore di giudizi e atteggiamenti antiebraici, che settori consistenti di intellettuali europei avevano elaborato al chiuso dei loro studi. Sul piano storiografico bisogna allora chiedersi se il nazismo non potesse presentarsi quale erede di determinati filoni e atteggiamenti culturali e "scientifici", ampiamente diffusi nella cultura europea dei decenni precedenti.