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Terre marginali. Agricoltura come nuovo umanesimo

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Terre marginali. Agricoltura come nuovo umanesimo
Titolo Terre marginali. Agricoltura come nuovo umanesimo
Autore
Argomento Economia e management Industria e studi industriali
Collana Quodlibet studio. Città e paesaggio
Editore Quodlibet
Formato
Formato Libro Libro: Libro in brossura
Pagine 133
Pubblicazione 02/2019
ISBN 9788822902894
 
16,50 15,68

 
risparmi: € 0,82
Ordinabile
È possibile elaborare per il Terzo Mondo un modello di sviluppo agricolo che sia fruttuosamente applicabile anche al Primo Mondo? Forse sì. E potremmo magari scoprire, in questo "modello comune", un'alternativa all'agricoltura intensiva guidata da criteri gestionali di tipo produttivistico. Il libro intende raccontare le economie del settore agroindustriale non dal punto di vista dei grandi centri di potere, bensì dalla specola delle "terre marginali". Questo sguardo nuovo nasce sul campo, dalle esperienze vissute dall'autore nelle periferie del mondo, tra colpi di Stato e attentati, in contesti culturalmente e religiosamente estremi. E nasce in particolare dalla costruzione di un progetto imprenditoriale - ben presto divenuto un esempio di sviluppo sociale - in una delle aree dell'Africa subsahariana in cui nascono le migrazioni. L'occhio di Caponetti è quello, umile e colto, di chi nella terra è nato e nella terra cerca un punto di partenza per lo sviluppo socioeconomico, sia locale che globale, ma lo sguardo che lo anima non arretra di fronte ai problemi materiali: dalla denuncia dei finanziamenti pubblici "a pioggia", ovvero di tipo assistenziale, al problema del copyright sulle sementi, dalla miopia della cultura occidentale, che produce "asset" che invecchiano inutilizzati, al feticcio del "green business", criticato anche da Gilles Clément in "L'Alternativa ambiente". Alla chiara denuncia delle colture industriali intensive, figlie della modernità occidentale, si affiancano però abbozzi di modelli alternativi, che possono costituire nuove opportunità di crescita. E l'autore arriva a proporre, come possibile vettore di cambiamento, una visione umanistica basata sull'inversione della rotta fin qui seguita, e dunque sulla concretizzazione, per le popolazioni che migrano da contesti difficili, della possibilità di contribuire al loro sviluppo nei territori d'origine.
 
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