ABE: Dissertazioni & conferme
Amicizie e potere sul fine Medioevo: i Castriota di Atripalda e altri casi di Eliseo Danza da Montefusco e Nicolò Franco beneventano e diplomatico a Roma ma perseguitato dal papa per eresia
Virgilio Iandiorio
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 128
"Il rapporto che si stabilisce con la città, o il paese, d'origine non è sempre scontato. Si va via da esso e poi si ha voglia di ritornarvi. Il rimanere stabilmente in un posto, a volte assume il sapore di un domicilio forzato; per cui si ha voglia di andare via. Il luogo di nascita, di residenza o di domicilio è parte di noi, ne siamo formati e ne riceviamo le impronte. Quando un luogo è magnificato da quelli che non vi sono nati o che non ci vivono stabilmente, la lode acquista un valore doppio. Perché, si presume, fatta senza motivi affettivi (un figlio che ami i genitori è la regola), senza altri interessi velati o palesi, la lode di un estraneo, di un forestiero, è più significativa e importante di quella di un abitante. Ho suddiviso questo lavoro in due parti: 1) la lode della città di Atripalda, fatta dall'avvocato Eliseo Danza nella prima metà del XVII secolo; 2) le lettere di Nicolò Franco indirizzate, nella prima metà del XVI sec., a Costantino Castriota, marchese di Atripalda, a testimonianza degli interessi culturali che coinvolgono non solo quella nobile famiglia, ma anche la città. Nell'una e nell'altra parte, l'attenzione è rivolta alla città sul fiume Sabato. La sorte non fu benevola con i Castriota di Atripalda, perché nello spazio di mezzo secolo finirono tutti i discendenti. Le lettere di Nicolò Franco, ci restituiscono un personaggio che fece parlare di sé nella difesa di Malta dai Turchi; non solo, ma anche per i suoi interessi letterari testimoniati dalle sue pubblicazioni. Cinque secoli fa, il poeta e scrittore beneventano Nicolò Franco, per intingere la sua penna nella satira contro famiglie potenti del suo tempo, finì non in tribunale ma sulla forca a Roma per oltraggiose offese. Nel suo epistolario, raccolta di lettere su vari argomenti indirizzate a personaggi noti e meno noti, un genere letterario molto in voga nel secolo XVI, l'autore beneventano ne scrive una indirizzata alla Lucerna, la lampada ad olio, con la preghiera di illuminare la sua esistenza con la luce della sapienza e della verità: "Deh cara lucerna mia, se iniquo vento non spiri mai contrario a la tua luce, e se con la vista ci sia concesso da i fati sormontare al cielo, al pari del più rilucente occhio, che tiene il giorno". E dalla Lucerna il poeta riceve una lunga risposta. La Lucerna, cioè Nicolò Franco, narra il suo viaggio non nei regni dell'oltretomba, alla maniera di Dante, ma sulla terra, dove l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso si ritrovano nelle forme quotidiane della vita. In questo viaggio nel mondo notturno, la Lucerna incontra per prima le donne, muse ispiratrici dei poeti, ma di bellezza solo esteriore. Che dire degli osti, dei sarti, dei mercanti. Ma la lista è lunga. Ci sono tutte le categorie sociali a combinare nottetempo imbrogli nelle loro attività. Il potere politico con in testa Carlo V e una schiera di nobili, uomini e donne, amici stimatissimi del poeta. Ma è all'altra schiera, quella guidata dall'eternità e dalla fama, che il poeta si indirizza. "La leggenda lavora, anche in maniera inconsapevole, sul dato storico o sociale per innalzarlo a valore rappresentativo del gruppo in cui prende forma. Non avere "lègende" è come non avere più una identità, non avere un'anima, non avere aspirazioni. Patrice De La Tour Du Pin, volutamente mette la "leggenda" accanto alla gioia. Come la gioia che provava Eliseo Danza nel tessere le lodi di Atripalda, ricercandole nella storia della città; e Nicolò Franco nel coltivare l'amicizia con il marchese Castriota. V. I." (l'autore). Con brani e lettere tradotti dal latino.
L'abbazia di san Silvestro in oppido S. Angelo a Scala: i 12 abati mitrati di Sannio e Molise rifondati dall'obituario del S. Spirito in Benevento. Volume Vol. 2
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 120
Il Chronicon S.Sophie, a dire di Berteaux, porta «in testa un obituario che va fino all'anno 1137, in cui gli ultimi anni, dopo il 1119, son dovuti ad una mano diversa da quella che scrisse le altre note. Non si tratta punto di un obituario, ma di tabelle di anni nelle quali son registrate alcune note cronologiche e alcuni avvenimenti storici importanti».1 Le carte giunte fino a noi, purtroppo, si riferiscono solo al periodo della nuova Urbe, quello seguito alla rifondazione della città e dei paesi, da una parte all'altra della diocesi, dopo il catastrofico sisma del 1348. Assistiamo cioè al solo riassetto post nascita di più arcidiocesi, compresa quella napoletana, che diede vita al nuovo Regno di Napoli, quando finalmente anche la Signoria della Regina di Sicilia Ultra e Citra, Giovanna I d'Angiò, divenne sede metropolitica. Berteaux diceva infatti che l'archivio del monastero di S.Spirito si conserva «in gran parte» nell'Archivio Comunale di Benevento, ma che «le carte cominciano dal 1356», essendo andate perdute quelle precedenti.2 In buona sostanza, l'Obituario Beneventano, pur rifacendosi a notizie che nel concreto partono dal 1160, osservando la frammentaria documentazione pervenuta, sembra apparecchiato in una forma più vicina a noi, che ci riporta alla solita data della rifondazione post sisma, cioè dal 1349 in poi. Esso «consta in tutto di centundici carte (le ultime due non numerate), le quali sono riquadrate e rigate e misurano mm 185 di larghezza per 260 d'altezza».3 Sebbene siano state spostate di posizione e ricucite ora alla rifusa, ora secondo un nuovo schema che ruotasse intorno alla nuova Benevento e non più all'ex urbe Vetere, lo studioso affermò che anche la numerazione «fu fatta con molta probabilità nel sec.XVII, quando fu nuovamente rilegato il volume, come può desumersi dalla scrittura». Così Garufi: - Nessuno indizio ho potuto rinvenire che faccia pensare ad una numerazione più antica.4 «Oltre i fogli di risguardo, si notano otto quaternioni, un ternione e tre quinternioni, la c. 3 è rilegata per mezzo d'una striscetta di pergamena. E' da ritenere però che originariamente ques a c. 3 abbia avuto la sua rispondente nella c. 28 che manca, in modo da riunire i primi tre quaternioni. Questa congettura, a mio avviso, non ammette alcun dubbio. La datazione dei mesi, che comincia colla c 411, procede regolarmente». 1. S.Agata [Gothorum, cui unitus episcopatus Sessule]. 2. Avellino [suffraganea cui nunitus episcopatus Fricenti aeque principaliter, cum episcopatibus Aqua putrida, e Quintodecimo]. 3. Larino [suffraganea]. 4. Monte Corvino. 5. Volturara [unita a M.Corvino, suffraganea]. 6. Monte Marano [suffraganea]. 7. Lesina. 8. Limosani. 9. Bovino o Bivini [suffraganea]. 10. Auscoli [suffraganea, cui unitus episcopatus Ordona]. 11. Ariano [suffrganea, qui regie presentationis est]. 12. Frigento. 13. Trivento. 14. Bojano [suffraganea cui unito episcopo Sepini]. 15. Alife [suffraganea]. 16. Telese [suffraganea]. 17. Trivico [o Vico, suffraganea]. 18. Tortivoli [o Tortibuli]. 19. Ferentino [o Florentino]. 20. Lucera [suffraganea, cui unitus episcopatus Florentinus, ac Turtibulensis]. 21. Termoli [suffraganea]. 22. Civitate [unita a S.Severi, suffraganea]. 23. Dragonara [unita a S.Severi, suffraganea]. 24. Guardia [Alferia, suffraganea]. [25. Exemputs est Triventinus episcopus, qui concilium proovinciale Lancianense elegit. 26. Troiano vero episcopus, etiam exemptus, Beneventano provinciali concilio dumtaxat, utpoté eligens, interferre tenetur. 27. Tenetur abbas abbatia S.Lupi Metropolitano Capitulo unite 28. Abbas generalis Montis Virginis e 29. Commendatarius Oppidi Alberone sacra jerosolomitana religione. Dice De Nicastro che «reliqui, qui trigesimum ac secundum explebant numerum, episcopi, sunt»: 30. ex Tocci 31. ex Sessule 32. ex Ordona 33. ex Quintodecimi Aqua Putrida 34. ex Sepini. 35. ex Troja ac Biccari.
Forentum restituita. Ricerca archeologica nel territorio di Forenza
Pasquale Di Carlo
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 103
Impostare una ricerca archeologica sul territorio di Forenza (Pz) è risultato da sempre un'operazione urgente e prioritaria per comprendere e delineare i tratti essenziali delle società storiche che si sono evolute in rapporto ad un ambiente che, da tempi remotissimi, disponeva di tutte le premesse per favorire uno sviluppo socio-economico competitivo delle società protostoriche dell'Italia. Basterebbe questa semplice premessa per comprendere quanto sia gravosa l'assenza della ricerca archeologica in un ambito territoriale che ha in sé grandi possibilità di restituire quei dati qualitativamente utili alla ricostruzione storica. Sembra subire un torto più grande la storia di Forenza, quando, nella metà degli anni Ottanta, venne " battezzata" la Forentum-Lavello, in un celebre convegno, tenutosi a Lavello e presieduto dall'allora Soprintendente alla Archeologia della Basilicata Angelo Bottini. In effetti questo avvenimento ha smosso alcune coscienze di certi studiosi locali e ha contribuito a riaccendere l'interesse per l'indagine storica nel territorio forenzese; di fronte due mondi e due saperi a contendersi la palma assoluta dell'attendibilità scientifica, quello storico-archeologica e quello storicoletteraria. Questa dicotomia sembra essere il riflesso di un'epoca: l'indagine storica soffriva ancora la distanza esistente tra i differenti campi del sapere, mancava la collaborazione e il lavoro d'équipe. Nelle acquisizioni storiche, se le fonti letterarie vanno riconfermate dai dati archeologici, bisogna aggiungere che miserrima appare quell'archeologia, che da una parte si proclama banditrice di scientificità, mentre, dall'altra, antepone il dato interpretativo all'epistemologia; e la Soprintendenza 9 Archeologica della Basilicata di questa colpa si è macchiata: aver tentato in modo estenuante, attraverso decenni di pubblicazioni, di utilizzare un dato erroneo, derivato da un'imprecisa lettura dell'ormai noto testo epigrafico pubblicato da M. Torelli nel 1969 1 , per ricavarne un dato della geografia storica, ancor oggi per niente chiarito: l'individuazione di Forentum nel territorio di Lavello. Il peso del confronto che questo dato epigrafico deve reggere nei confronti di una ricca letteratura, orientata ad ubicare Forentum nel territorio di Forenza, è insostenibile. Questo lavoro pertanto non è tanto finalizzato specificatamente a localizzare la Forentum antica nell'area in cui ricade l'attuale comune di Forenza, quanto dare un primo passo per realizzare strategie d'indagine che questo territorio attende. Per impostare la ricerca seguente nel comune di Forenza, mi è apparso d'obbligo introdurre una breve trattazione della storia antica del comprensorio del Vulture-Alto Bradano, allo scopo di delineare i caratteri comuni e peculiari delle società storiche che hanno condiviso il medesimo territorio e che hanno riprodotto il medesimo apparato ideologico attraverso i sistemi di auto-rappresentazione in loro possesso. L'immagine di queste società sono desumibili attraverso i corredi funerari. Troppo scarse sono ancora le conoscenze in nostro possesso sugli abitati. Fare interagire le diverse discipline che possano contribuire alla ricostruzione storica, ci metterebbero di fronte a nuove discussioni e a nuove problematiche, svelandoci molte volte nuove strade che conducono spesso a risultati inaspettati; si pensi ai dati dell'antropologia fisica che la Cipolloni Sampò 2 ha spesso messo in relazione con i dati archeologici della cultura materiale, raggiungendo risultati ammirevoli per la ricostruzione delle società passate.
Fiorenza e il Giglio della Cittade di Cosimo I de' Medici: Eleonora di Toledo, il padre Viceré, la Matrigna e l'Efebo. Trascrizioni da tomi a stampa e da manoscritti inediti coevi
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 164
Il Duca Alessandro de' Medici fece una brutta morte e Firenze stette sull'orlo del collasso. Ci pensò il Cardinale a richiamare il Consiglio dei 48 e a condurlo su un solo nome: Cosimo I, da paggio a pupillo del defunto. E quando questo sbarbatello salì le scale trovò già pronta la sedia per firmare l'accordo e calmierare il Ducato, benché appartenesse a un ramo cadetto dell'antica famiglia della prima cinta muraria. Le relazioni degli ambasciatori si moltiplicarono come veline, e le notizie, trascritte e sovrapposte, fecero il giro delle corti e dei principi d'Italia: Papa, Re e Senato veneziano ebbero di che ragionare. Non trascorsero due anni che il novello Duca fece proposta di nozze alla figlia del Viceré di Napoli. Eleonora di Toledo, col suo ricco corredo, e l'aiuto militare del padre contro Siena, sarebbe stata la scelta più sensata per una Duchessa e un Ducato. Le nozze furono belle, e i doni anche. Cosimo divenne un tiranno, ma non tradì Eleonora finché visse, neppure quando gli morì il padre sotto gli occhi mentre traslava le fontane dei giardini di Firenze e Napoli nelle nuove piazze di Palermo per ridare vita alle regge napoletane e fiorentine, a cominciare da Palazzo Pitti, che la Duchessa fece abbellire da pittori, ceramisti e cortigiani, come Tansillo, al seguito del fratello. Firenze faceva invidia ai Principi vicini che spiavano i fatti dell'intera provincia di Toscana e della capitale. Sapevano tutte le strade di accesso, il numero dei militi nelle fortezze, il tesoro ripartito in beni e in soldi. Dalla milizia di terra all'arsenale, le ricchezze dei Medici e dei Toledo, ormai stretti parenti anche dell'Imperatore, si moltiplicavano da un'ambasciata all'altra, lasciando che l'amore fiorisse a corte, per il bello, per le donne e per l'arte. Perfino la giovane amata dal defunto Viceré, divenuta matrigna di Donna Eleonora, moltiplicò gli amori, lasciando sbizzarrire notai editi come Castaldo e inediti come Corona e Scipione Guerra. Ma Donna Vincenza, questo il nome della vedova allegra e fedifraga, arrivò a plasmare l'efebo del Cardinale Cibo, a sua volta rimasto a bocca asciutta, per scappare con Occhetto a Galatina. La guerra di Siena, pur rallentando il Rinascimento in Toscana, non frenò gli impulsi dell'amore, né la folla nelle aule e il via vai delle corti. La Firenze di Boccaccio e Guicciardini ritrovava l'unità in Europa, al pari del Regno di Napoli e più degli altri principi italiani abbarbicati sui confini come cespugli.
Rinascenza rurale, le zone interne dal medioevo all'età moderna: rinascita nella evoluzione del mondo contadino nel Sannio Agreste
Enzo Pacca
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 128
Un tempo molto, molto lontano, quando il mondo era dominato dalla magia e di notte intorno al fuoco sfavillante danzavano le janare, i boschi erano abitati dagli spiriti e nel silenzio delle tenebre si udivano gli ululati dei lupi mannari, al centro di tutto questo meraviglioso regno della fantasia e dell'incanto vi era il contadino. Il contadino era un uomo dedito al lavoro della terra, un vero custode della natura. Viveva in una piccola casetta rustica, circondata da campi rigogliosi e prati ammantati di fiori colorati. Il suo era amore per la terra e tutto ciò che essa offre era senza limiti, così come la sua saggezza e il suo spirito di osservazione. Ogni giorno, si alzava all'alba e si incamminava verso i campi, pronti ad accogliere i raggi del sole e a donare alla terra tutto il suo amore e i suoi sforzi. Piantava semi, curava le piante, raccoglieva frutti e verdure, sempre rispettando il ritmo della natura e ascoltando i suoi segreti. Ma la sua saggezza andava oltre il semplice lavoro del campo. Era un uomo di grande generosità e gentilezza, che spesso veniva consultato dagli abitanti del villaggio per i suoi consigli preziosi. La sua connessione con la natura gli permetteva di interpretarne i segni, di leggere nei venti e di comprendere i bisogni degli animali che lo circondavano. Il contadino rimane sempre umile e fedele ai suoi principi. Lavora la terra con passione e amore, considera ogni pianta e animale come un dono prezioso da preservare. Nonostante i tempi fossero cambiati e la magia iniziasse a sfumare nel mondo, il contadino rimase un faro di speranza, un ricordo vivente dell'antica connessione tra l'uomo e la natura. E così, anche quando il vento smise di portare il canto delle janare e i lupi mannari si ritirarono nel buio, il contadino continuò a diffondere la sua magia attraverso il suo lavoro e la sua gentilezza.
Il poeta amico dei cani, guide al Medioevo: Canes e altre traduzioni dal latino di Giovanni Darcio da Venosa
Virgilio Iandiorio
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 112
Mi accingo a scrivere la biografia di Giovanni Darcio, poeta venosino vissuto nel XVI secolo. Di lui sappiamo quello che ha scritto nella sua opera Canes, pubblicata a Parigi nel 1543. Era nato a Venosa, difficile stabilire l'anno; nella sua città si dedicò all'insegnamento, poi si trasferì in Francia al seguito del vescovo Andreas Richer. Di lui non sappiamo altro. Può sembrare un'impresa folle, come quella di cui parla Michel Onfray a proposito della biografia di Lucrezio: «Bernard Combeaud [amico del filosofo che aveva tradotto il De Rerum Natura] nutriva il progetto egualmente folle di scrivere una biografia di Lucrezio. Noi sappiamo che della vita di questo poeta non sappiamo nulla. Bernard però sosteneva che la frequentazione intima del testo gli aveva permesso di intravedere l'uomo e si proponeva quindi di raccontarne a suo modo la vita» (M.Onfray, Vivere secondo Lucrezio, Parigi 2021, tr. It. Milano 2023 p.12). Giovanni Darcio manifesta nella sua opera una conoscenza profonda dei cani, dell'arte di allevarli e di addestrarli, acquisita con l'esperienza diretta, come afferma in due punti nel testo (comperta loquor, cioè, io parlo con cognizione di causa). Dai suoi versi, perciò, traspaiono, come in controluce, i tratti della sua personalità. Non saprei dire quanta fede possa avere questa biografia di Giovanni Darcio, scritta alla maniera degli autori delle novelle storiche nei secoli XVII-XIX. Sul fondo di qualche verità ho tessuto una tela di parecchi avvenimenti, contemporanei e di certo patrimonio della sua cultura letteraria e della sua esperienza. Ad ogni modo potrà risultare di gradimento a chi legge vedere che le cose, che mi fingo narrate in prima persona dal poeta, poniamo che non siano realmente accadute, possono, però, risultare almeno probabili, perché i riferimenti ad esse sono avvenimenti dell'epoca del nostro poeta. Una full immersion nel passato, come ci hanno abituato a vedere con i ritrovati della più sofisticata tecnologia, e le diavolerie informatiche dei nostri giorni. Ma navigare nel tempo passato o futuro che sia e anche nello spazio vicino o lontano da noi, ha sempre attratto la fantasia dell'uomo. E penso alla Storia vera di Luciano di Samosata, vissuto nel secondo secolo d.C., un racconto fantascientifico di viaggi al di là delle terre conosciute ai suoi tempi, in cui i protagonisti arrivano addirittura a viaggiare nello spazio e ad incontrare i Seleniti, gli abitanti della Luna. Senza scomodare altri famosissimi poeti e scrittori che hanno scritto di viaggi al di là del tempo e dello spazio, ho immaginato di ascoltare dalla viva voce del poeta Giovanni Darcio momenti della sua vita, ricostruiti attraverso le poche parole che di sé ha scritto nelle sue opere, poche anch'esse. Ho immaginato di incontrare Darcio a Sens, nella cattedrale di Saint-Etienne, una delle più antiche cattedrali gotiche di Francia, di cui fu vescovo Richer, il suo patrono: ma per non disturbare eventuali funzioni religiose nel tempio, ci siamo portati nei dintorni di questo sontuoso edificio. All'esterno del capo-croce, infatti, si trova il giardino dell'Orangerie con le sue aiuole. Sono rimasto per molto tempo ad ascoltare la sua narrazione, storie della sua vita, e a registrare fedelmente le parole, come qui appresso si riportano. V. I.
Attuari beneventani. Documenti sui paesi della Montagna di San Giorgio aggregata a Montefusco nella provincia di Principato Ultra Benevento
Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 200
Documenti inediti anche su territori presso Torrioni, Tufo, Chianche, Chianchetella, Petruro, Pratola, San Giorgio, San Nicola. I comuni, partiti dal fortilizio di S. Angelo a Torrajoni, già prima del 1700, hanno dato autonomia politica a Castel Torrioni, Toccanise e Tufo, feudo che i Caracciolo di Avellino mantennero per secoli, onde evitare lo smembramento dello Stato feudale che aveva termine alle porte di Benevento. Cognomi di uomini che rivivono ad opera di una personale e sottile matita rossa e blu che ridisegna lunghe giornate fra vicoli e portoni, alla riscoperta delle nostre origini. Ma ciò che sono stati gli avi e ciò che avremmo voluto si confronta in una elaborazione di dati schiacciati dalla polvere caduta sui rogiti, per il non venir scrutati, pronti ad essere liberati e fluttuare nell'aria. E i risultati, sebbene di prima facie, premiano chi vuole scavare nel passato, scoprire il valore insostituibile della conoscenza e delle radici, spinto da un sapere vitale, all'affannosa ricerca di una identità che leghi l'avulso curioso al territorio, che lo intrighi al punto di immergersi nella stessa complessa articolazione del testo, diventandone protagonista, ora rinvenendo il suo nome, ora il suo cognome. Nulla di tutto ciò si avrebbe senza l'indagine investigativa condotta su cittadini, congiunti e conviventi, attraverso una breve, chiara e distinta sintesi sui beni immobili, e sull'attività esercitata, sulle tasse. Caratteristiche che non escludono la vivezza della enunciazione formale e la passionalità del piglio giornalistico, ogni volta che occorra, per annodare e poi snodare un sistema complesso, articolato, che appare ripetitivo e impossibile a studiarsi, che fornisce dati quasi mai letti e trascritti prima, secondo angolazioni asimmetriche che non si esauriscono certo in modo cronologico o con la mera elencazione, ma risultano godibili, per la ghiotta disponibilità di fatti, di evocazioni gustose e acute, annotazioni riferite alla nostra Montagna. Cosicché dalla trattazione non spunta il ventaglio delle considerazioni, non la cattiva abitudine degli storici locali dell'eccessivo consultare di libri consunti, che pure necessitano, ma la vivacità e il colore scavato nei tomi originali, fin oggi tenuti sotto chiave, ed ora tirati a lucido per l'occasione. Un merito che va tutto ad onore del nostro gruppo di lavoro, che si è sobbarcato con perizia e volentieri l'immane fatica, basato, ricordiamolo, sulla topicità e il costante scrupolo della trascrizione al fine di fornire conclusioni assolutamente di prima mano. Sono interventi, studi e note di chi ha capacità e amore per la verità, sulla scorta della primaria volontà di leggere una cosa mai scritta, senza entrare nel merito di punti problematici e magmatici. È lo spirito che ci accompagna su questi binari temporali, forse senza pathos da romanziere e con la volontà di sempre possibili e ammissibili approfondimenti, ma con la consapevolezza di aver restituito un sogno all'uomo che va alla continua ricerca delle proprie radici. È questo l'inedito pregio che siamo riusciti a cogliere e che ci ha distratto ed appagati, ma mai allontanati, solo rapiti dalla voglia di poter lanciare un fiore all'umano consorzio. È bello, anche se di rado, lasciarsi cullare da un alito di vento senza rincorrere i feticci di Papuasia e di Guinea ricordati altrove da Iannaco, a merito di coloro che non sono fuggiti, un po' per orgoglio, un po' per ideali, un po' perché prestati al servizio di valori rari. Sono quelli che insegnava senza mai stancarsi l'Antonelli, quando, qualche anno addietro, facendo un plauso a Bascetta, gli ricordò che è la rarità a ingenerare la preziosità in chi sceglie di stare dalla miglior parte.
Processo al principe sulla scena del crimine. Caso n.1 Gesualdo da Venosa e i tre servi assassini
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 112
Il delitto di Gesualdo, noto anche come Gesualdo da Venosa (Venosa, 8 marzo 1566 - Gesualdo, 8 settembre 1613), è uno degli episodi più intriganti della storia italiana. Il compositore del XVI secolo è conosciuto non solo per la sua musica innovativa ma anche per il suo oscuro lato personale. Nel 1590, Gesualdo uccise sua moglie Maria d'Avalos e l'amante Fabrizio Carafa dopo averli scoperti in un presunto atto di adulterio. Il delitto è avvolto da molte controversie e misteri, sia per le circostanze che lo circondano che per le motivazioni dietro l'omicidio. Il Principe di Venosa non fu perseguitato legalmente per i suoi crimini, poiché l'omicidio coniugale era considerato accettabile in certi contesti aristocratici dell'epoca. La sua storia e il suo delitto sono diventati però leggendari nel corso dei secoli, contribuendo a creare un'aura di mistero intorno alla figura del compositore. La sua musica, altrettanto intensa e espressiva, è spesso associata alla sua tormentata vita personale. Gesualdo fu coinvolto in un processo. Tuttavia sembra che abbia goduto di una certa impunità a causa della sua posizione sociale elevata in quanto principe. Il processo in sé potrebbe non essere stato così dettagliato o documentato come alcuni altri eventi storici, ma l'episodio ha contribuito alla fama di Gesualdo da Venosa come figura dai tratti oscuri e misteriosi. La sua vita e le sue note continuano a intrigare gli studiosi e gli appassionati di musica classica. L'omicidio di sua moglie e del suo amante ha sicuramente influito sulla reputazione di Gesualdo da Venosa come principe e compositore. Ne seguì una vita piuttosto da recluso, concentrandosi sull'attività musicale e sulla costruzione del palazzo a Venosa. Le sue opere madrigali, in particolare, sono state spesso descritte come espressione dei tormenti interiori, ma la fama postuma è stata plasmata non solo dalla sua musica innovativa, ma anche dalla vita personale controversa. Il delitto ha contribuito sicuramente a creare un'aura di mistero e oscurità attorno al Principe, che ha suscitato l'interesse di numerosi studiosi e appassionati di musica nel corso dei secoli. La sua reputazione come compositore eccentrico e figura enigmatica è stata preservata attraverso gli anni, e oggi egli è spesso ricordato più per la sua vita tumultuosa. Con trascrizioni da manoscritti inediti. A.D. 1590.
Prontuario di genealogia per iniziare a costruire l'albero genealogico di famiglia attraverso la ricerca in Archivio, Biblioteca, sui Registri Parrocchiali e Comunali
Fabio Paolucci
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2023
pagine: 148
Questo testo ha lo scopo di servire da "guida" per chiunque voglia affacciarsi al mondo della ricerca genealogica, indicando la metodologia di ricostruzione genealogica da adottare ed i fondi archivistici da consultare. Muovendosi con destrezza tra archivi di Stato, archivi diocesani ed archivi parrocchiali, si giunge a ricostruire un albero genealogico "rigoglioso" e ricco di "rami", fino a riscoprire le "radici" - con buona dose di fortuna - nel XVI secolo, se non addirittura prima. Per la prima parte sono stati presi come esempio rami di famiglie, e per le successive sezioni sono stati presi come esempi documenti provenienti da archivi diocesani e parrocchiali. Dopo gli esempi pratici delle ricerche svolte, è necessario schematizzare in maniera esaustiva le fasi dell'indagine archivistica, rendendo in tal modo facile al lettore realizzare il proprio albero genealogico: Come cercare in casa propria fotografie e documenti e raccogliere dagli anziani di famiglia notizie degne di nota, come mettere per iscritto i nomi e le date raccolte, come fare ricerche su comuni e enti giusti, cosa richiedere in Archivi di Stato e cosa consultare dai registri statali e cosa in quelli parrocchiali, fra elenchi infiniti di battesimi, dei matrimoni e dei morti; stati delle anime. Infine come arricchire la ricerca genealogica con lo studio dei protocolli notarili, dei catasti onciari (centinaia di sunti sono stati pubblicati da Arturo Bascetta Editore) e di altri documenti, come ad esempio le corti baronali e le corti criminali. E' così possibile approfondire la ricerca su siti specializzati, e aumentare il proprio bagaglio di conoscenze allacciando rapporti con altri familiari, ricercatori e studiosi. E' questo in sintesi il lavoro di questa brillante guida, fiore all'occhiello delle pubblicazioni genealogiche in Italia, abilmente realizzata da chi ha esperienza d'archivistica come il professor Fabio Paolucci.
Salerno imperiale. Dissertazioni
Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2023
pagine: 170
Osservarlo ed ascoltarlo, già la prima volta, fu un tutt'uno e conseguenza del fatto rivelatorio. Un fluire incandescente di pensieri, sillabe, frasi e parole il manifestarsi del logos; come immaginavo avvenisse sotto i portici dell'Accademia di Atene, tra allievi frenetici e solenni cattedratici maestri. Come avveniva per le frequentazioni nel foro, da parte d'indomabili giureconsulti o di stupefacenti curiosi, arrivando ad rostra, estasiati davanti ad epigoni di un Cicerone o di un Ortensio e anche di Antonio Oratore. Fiammeggiare di perifrasi e splendore di metafore, con metonimie d'anguille viscide, similitudini lunghe come di treni, carichi di alabastri. Il divenire dei metri sui piedi della poesia, mutata in musica da miti viventi di arpe d'avorio o tube celestiali: scrivere per ogni artista della penna d'oca o di computer è un disco verde verso infiniti azzurri, spalancati da occhi viperini. La dolcezza di una chitarra, in mano a Garcia Lorca, un calendario sfogliato da Leopardi. Per Arturo Bascetta è dare ascolto alla voce di dentro, alla tarantola che gli rode le visceri. Un ineludibile comandamento dello spirito. Non so dove gli derivi, ma certamente Arturo ha la scorza dello storico. Presumo ambiziosamente la vocazione l'abbia colto, in qualche stellata pausa serale del suo soggiorno nei campi Flegrei, dove Virgilio è di casa, ma anche Omero è un fantasma di sogni ellenici. A sentire Croce, però, lo storico locale non ha bisogno d'ispirazione, né di modelli. È. Come Iddio e come la Musa Clio. Arturo dell'amore per i suoi paesi di montagne innevate o aspre rocce, di monconi e moncherini d'alberi, di capre lanose e di lupi accesi nel buio profondo delle notti ululanti, ne ha fatto una religione. Incanta con le sue argomentazioni, Arturo. Non solo bravo giornalista, testardo nel servire la sua devozione di pennaiolo che butta sudore e stenti per realizzarsi, ma anche storico e scrittore brillante. Non era nato a fare lo storico, vi dirà. Invece, sa di spacciare bugie. Egli è uno storico, da mandare in brodo di giuggiole anche il più asettico lettore, il meno influenzabile editore. Storico locale, urliamolo con Croce. Cioè vero storico. Gli altri ci guarderanno e ci commiseranno? Non lo credo. Perché il grande Frodoto incominciò con i logoi, che recitava, tutto compito e partecipe, ad Atene, finì con il diventare il massimo degli storici, insieme a Tucidide. Quest'ultimo più scrittore o narratore, meno storico/geografo/militare come l'autore delle lunghe battaglie di popoli di Ellade e di Asia, e dell'invasione persiana. Io, qualcosa, vorrei dirla per contrastare Arturo; «che ce lo troviamo dappertutto?» Per quanto riguarda però l'età moderna, ad andare a spulciare registri e documenti, Arturo Bascetta è capace di strabiliare, è veramente un folletto imprendibile. Gianni Race †
Crimine e potere nel Tardo Medioevo. Trenta curiosi casi nazionali dell'avvocato Maranta da Venosa 1476-1535
Donato Bellasalma, Virgilio Iandiorio
Libro: Prodotto composito per la vendita al dettaglio
editore: ABE
anno edizione: 2023
Nelle manifestazioni dedicate ai libri, siano essi saloni fiere o meeting, si fanno intervenire personaggi famosi e autori noti, che discutono in pubblico di argomenti attinenti alla lettura e alle materie da essi trattati nelle loro opere. L'interesse per la lettura da parte di un pubblico vasto non deriva soltanto dall'importanza che alcuni argomenti possono avere, ma anche dal modo come vengono presentati. Le narrazioni di natura storiografica sono, in genere, considerate appannaggio degli specialisti o dei cultori di patrie storie. Il problema che mi affascina da sempre è come portare il racconto storico ad un pubblico sempre più vasto, e non esclusivamente a chi si interessa per motivi professionali o per personale passione della storia. La narrazione, la ricostruzione di fatti storici può risultare accattivante e interessante quando si portano anche all'attenzione del lettore non specialista i personaggi e gli eventi come se fossero davanti ai nostri occhi. Un poco come avviene per i film, che parlano attraverso le immagini a tutti gli spettatori, senza distinzione di età, di cultura e di sesso. Nel nostro tempo in cui spesso e volentieri l'ideale si trasforma pericolosamente in ideologia, che si fa violenta contro la tradizione e la storia in ossequio al pensiero unico e a chi lo impersona, il lavoro storiografico ci dice che non si può rinunciare agli ideali, che hanno fatto e fanno la storia; e ci conferma nella convinzione che ogni ricostruzione storica, che cerca onestamente e con la necessaria competenza la verità, è aperta ad interpretazioni diverse. Il senso dell'eredità del passato è nella consapevolezza che il tempo non è mai perduto. Non domandare: come mai i tempi antichi erano migliori del presente? poiché una tale domanda non è ispirata da saggezza.
Benevento aragonese. Volume Vol. 1
Sabato Cuttrera
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2023
pagine: 210
Nell'anno 1418 la Regina Giovanna II d'Angiò, in merito al possesso di Benevento nelle mani della Chiesa, «la rivendicò e ne investì il suo favorito Sforza». Benevento, cioè, col consenso di Papa Martino V, fu affidata al contestabile Attendolo Muzio Sforza, fino ad allora titolare pro tempore, che nel 1422 svernò nel feudo beneventano di S.Maria de Villafranca, come si ricavava dal necrologio di S.Spirito «esso era di tanta ampiezza che Sforza vi venne colle sue genti e vi dimorò tutto il verno del 1422». All'epoca la provincia beneventana del Principato Ultra, era unita alla Citra Montoro e alla Capitanata, come risulta dall'atto di un notaio di Ariano, senza possibilità di poter definire i confini. Il Papa di Roma cedette prima l'ex Ducato, riconquistato dai cavalieri angioini, e poi diede Benevento e Casali alla sovrana di Napoli, che la rivendicava nel Regno, in quanto erano stati i suoi predecessori a dotarla di statuti scritti fin dal 1202, sebbene fosse chiara a tutti una riconferma ai prefetti della Chiesa da Re Carlo I d'Angiò.1 Fatto è che Giovanna II, prima di essere sovrana del Regno di Sicilia, fu la seconda Regina di Neapulia, cioè già eletta dai magni in quanto successora a Re Ladislao. Il capostipite dei Re magnanimi del nuovo e rifondato regno capuano, fu scelto dagli anziani senza essere necessariamente incoronato dal pontefice a Re di Puglia, come accaduto nei secoli a Salerno, oppure di Sicilia Ultra a Capua, o principe imperiale nelle vicarie di Italia Citra a Troia Vetere in Atense, o di Gerusalemme a Nazaret in neapolis Trani di Barletta, infine di Costantinopoli a Barulo arola di Siponto fondata dai veterani di Canosa.