ABE: Dissertazioni & conferme
Ricchi e poveri di Avellino città. Volume Vol. 1
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 164
Il primo principe fu Marino Caracciolo. Seguì Camillo Principe II successore di tutti gli stati paterni, il quale divenne ancora gran Cancelliero del Regno, e cavaliero del Toson d'oro. Hebbe tre mogli, la prima, Roberta Carrafa figlia del Duca di Mataloni; la seconda, Beatrice Orsina figlia del Conte di Muro; e la terza Donna Dorotea Acquaviva d'Aragona figlia del Duca d'Atri, con le quali generò molti figli, e essendo morto in Lombardia, mentre era Capitano generale della cavalleria napoletana, e che governava tutto il regio essercito, gli successe". I Caracciolo divennero forti e potenti, i signori più importanti del Regno dopo i Sanseverino. Furono a capo della Marina e della Massoneria, amarono il mare e la montagna, costruirono case e chiese, molto liberali rispetto agli altri, avendo ricoperto molti di loro il titolo di ministro plenipotenziario a Vienna durante il viceregno austriaco. "Nell'uscita di questa città verso Puglia sta posto il suo antico Castello, che dal Principe Camillo Caracciolo, è stato abellito, e magnificato, à pie' del quale si vede il Parco per la caccia di cervi, e altri animali, e un giardino abbondante di gran quantità d'acque fatte dal medesimo Prencipe venire per acquedotti da diverse lontane parti, ove in diverse maniere compartite si veggono formare varie fontane, che con belli, e ingegnosi artificij mandano fuori continuamente copiosissime acque non senza diletto, e meraviglia insieme di chi le mira, e vi è la seguente iscrittione nella Porta del detto giardino": Mulcendo per pacis Blanditias Marte Exercendaque per ludicra Martiis Pace Naturae, artisque ad oblectandum Certamina, In Amplissimo hoc Viridarij Theatro Sibi, suisque, Indigenisque, & addensi Paravit Martis delicum Pacis Praesidium. Camillus Caractiolus Abellini Princeps. § - Marino alza mura fra 2 Porte: Puglia e Napoli Il III Principe Marino Caracciolo figlio del II Principe Camillo e di Roberta Carrafa che "l'havea generato, il quale è terzo Prencipe d'Avellino, e medesimamente Duca della Tripalda, Marchese di Sanseverino, conte di Galeratu, e della Torella, signor dello stato di Serino e delle baronie di Capriglia e Lancusi, gran Cancelliero del Regno e cavaliero del Toson d'oro, e capitano di gente d'Arme. Il Principe Marino ebben due mogli, "la prima fu Lesa Aldobrandina, nipote, che fu di Clemente VIII sommo pontefice e sorella di Margherita Duchessa di Parma, e Piacenza, con la quale havendo generati alcuni figli morirono nella tenera età insieme con la madre. Dopo la cui morte si è casato il Principe Marino la seconda volta con Don Francesca d'Avalos d'Aragonia figlia del Marchese di Piscaria, e del Vasto, con la quale hà generato Carlo Camillo Duca della Tripalda suo primogenito". Avellino, venne "accresciuta di nuovi edificij tanto publici, quanto privati, e in particolare la rinchiusi i Borghi di essa, facendovi magnifiche porte, l'una dalla parte, che si va in Napoli, e l'altra alla strada di Puglia, nelle quali porte sono le sequenti inscrittioni: à quella ch'è nella porta della parte di Napoli si legge. Marinus Caracciolus Abellini Princeps III Explicatis latè minibus Inclitusq; suburbijs Urbem laxius Cives tutius Advenas laetius Omnes habuit munificentius Anno Salutis 1620 E nella Porta di Puglia. Marinus Caracciolus Abellini Princeps III Frugi liberalitate, Domicilia de suo sirvit Virginibus in dotem duit Urbem amplat Civem duplat Cascum, & recens, Portit morisq; clatrhat Sibi foeneranus, ac fuis Tum Vos à posteris Augere largitate Ditionem. Anno Domini M.DC.XX
Abecedario di Colle Sannita. Famiglie e ricerche genealogiche sul 1700
Fabio Paolucci
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 144
Fino al 1861 Colle era in distretto di Bovino di Foggia (FG) con le le strade, le chiese, i conventi, i preti, le monache, i frati dei luoghi del 1700: Piazza Pubblica, Porta di Rago, Casaleno delli Zingari, Casale, Portiello, Sopra San Giorgio, Dentro la Terra, Fontanova, Alla Nunciata, Porta quassù, Li Tufi. "Si ringrazia Angelo D'Emilia detto Linetto, Presidente dell'Associazione Culturale "Colle Sannita", per aver provveduto alla fotoriproduzione presso l'Archivio di Stato di Napoli degli otto volumi del Catasto Onciario di Colle Sannita, permettendo in tal modo il "ritorno in patria" di questo preziosissimo documento del nostro amatissimo paese. A Linetto va anche il ringraziamento particolare per aver seguito con attenzione tutte le fasi della realizzazione della presente opera, cimentandosi in prima persona nella ricerca sui fondi documentari dell'Archivio Parrocchiale di San Giorgio Martire di Colle Sannita e fornendo informazioni storiche preziosissime su personaggi e famiglie collesi, nonché sulle antiche strade del paese. Un ulteriore ringraziamento è rivolto a Giuseppe Martuccio di Colle Sannita, per aver partecipato insieme a Linetto alle fasi di indagine storica sui fondi archivistici collesi. Si ringrazia, infine, l'Associazione "Terrae Collis", di cui mi onoro essere vicepresidente, per il sostegno morale e l'incoraggiamento a proseguire gli studi archivistici sulla meravigliosa storia del nostro borgo d'origine. Il logo dell'Associazione Culturale "Colle Sannita" e la riproduzione dell'antico sigillo di copertina sono opera di Stefano Vannozzi di Cercemaggiore (Cb). L'immagine in copertina è una fotografia della piazza centrale di Colle Sannita, oggi dedicata a Giuseppe Flora padre dell'illustre letterato Francesco, risalente ai primi anni del Novecento. Dedico questo mio modesto lavoro alla mia terra, che porto sempre nel cuore!" (l'autore)
Lo scoppio di Pozzuoli. Tripergola e S. Spirito inghiottiti dal monte nuovo. 1538
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 146
Il terremoto che colpirà Pozzuoli, in realtà, aveva già dato i primi segnali, delle avvisaglie, la mattina del Sabato Santo, in quel di Napoli, come raccontano i cronisti. «Hora venendo l'anno 1538, et appripinquata la primavera stando le brigate la matina del sabato santo à gl'offici divini, et li sacerdoti legendo le profetie, venne all'improvviso un tal terremoto che sì per far cadere le chiese, e l'altri edifici, però che fu validissimo, et estraordinario. E e durò assai talché lasciati l'officio divini tutti spaventati se ne uscirno fuora de le chiese, e fu pericolo, che molti premendo l'uni à l'altro per la fretta non s'affocassero alle porte nell'uscire. Il che da savij fu per presago de futuri mali interpretati, onde le brigate remasero sbigottitei, e di mala voglia. Ne questo solo terremoto fu quello anno, perciò che venendo l'estate continui terremoti travagliorno Napoli, e Pozzuoli cossì lo giorno, come la notte, e massime nell'intrar del'autunno, in modo che molti per tema, che le case non cadessero a loro à dosso, dormivano per le piaze, e ne li campi. Ma come il sole entrò ne la libra, li terremoti furno più spessi e finalmente la sera precedente alla Festa di San Michele Arcangelo, e per dir meglio di San Gennaro, verso le due ore di notte, se sentì un valido terremoto, al quale seguì un gran tuono, come de molte bombarde sparate insieme, ne sapendi che rumore fusse quello, uscirono a le piazze le genti domandando l'un l'altro che cosa fusse. Ma non sterro molto in questo dubio, che furno chiariti da poveri pezzolani, che con le loro dobbe e figlioli a Napoli se ne fugivano, ma d'una continua pioggia de cenere, che fu tutta quella notte, e s'intese come sopra il Lago Lucrino, che Trepergola se dice, un tempo, era emersa una voragine, che haveva sollevata la terra a guisa d'un colle in alto e dindi apertasi, di sopra, haveva fatto quel tronitro, con haver mandato fuori fiamme di foco, e calliginosi nubbli di cenere, e pietre arse, e ch'il mare di quel lido s'era per molti passi retirato a dietro, perche quel spirito vehemente, e solfureo, che haveva tanto tempo scossa la terra passando per li luoghi cavernosi, bituminosi, e sulfure sotto la terra, e fatto perciò potente, et impetuoso, non havendo esito tale, che havesse possuto senza far altro molini esalare, ansò la terra in alto, e fe quella voragine, mandando fuori con eimpiti, sassi, fiamme, cenere, e caligine, che à guisa d'un gran arco celeste miccante de fiamme e faville s'alsava denso, e caliginoso, e volava per l'aria con continuo corso verso Levante.». Osservarlo e ascoltarlo, già la prima volta, fu un tutt'uno e conseguenza del fatto rivelatorio. Un fluire incandescente di pensieri, sillabe, frasi e parole il manifestarsi del logos; come immaginavo avvenisse sotto i portici dell'Accademia di Atene. Presentazione di Gianni Race. Introduzione di Andreana Illiano.
Eresie a Napoli post inquisizione: il figlio del re per giudice nelle Camere della Rota (1547-571)
Arturo Bascetta
Libro
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 132
Il terzo manoscritto: aggiunte e pasquini nell'istoria La vera chicca della III parte della cronaca della Historia del Castaldo con le aggiunge dell'Anonimo copista è sicuramente una figura sconosciuta agli storici che d'improvviso si intrufola nel Tribunale della Vicaria e gestisce alcuni casi penali in maniera autonoma sotto gli occhi increduli di cancellieri, giudici e reggente. È Ugedo, figlio «insano» di Filippo II, prossimo erede di Carlo V Imperatore, che la storiografia scorge lontano da Napoli, ma che in realtà le cronache di questo fantastico diario lo pongono fra i protagonisti della vita giudiziaria della capitale del Regno. Segue un'altra figura eccezionale, che già conosciamo, del fluido Principe di Salerno, il quale, con la sua modernità alla francese sfida tutto e tutti, raggirando anche i più scettici col «falso» parto della Principessa Isabella, per evitare la confisca dei beni ereditari. Sanseverino arriva a farsi beffa del Viceré, ma la coppia più amata del Regno pagherà con la vita l'essere stata ricca, felice e ammirata dal popolo, proprio per invidia di Toledo, non solo aggrappato al potere, ma sempre più spietato e vendicativo. L'attentato, la fuga, l'esilio, i dispetti: sono descrizioni che solo chi aveva vissuto da protagonista poteva fare all'abile scrittore che ce le tramanda, arrivando a descrivere il suo padrone alla corte dei nemici. E' un Sanseverino leggiadro, quasi di facili costumi ma anche dalla brillante intelligenza, pronto a sfidare Viceré e Imperatore, a stringersi alla corte del Re di Francia, a seguire il Solimano fino a Costantinopoli, e a dormire a lungo nell'harem del Gran Turco. Don Pedro sarà spietato nei suoi riguardi, volgendogli contro l'esercito per catturarlo, i giudici per la confisca dei beni e lo stesso popolo, facendolo dichiarare disertore e fuggitivo, traditore, lascivo e bisessuale. Ma anche il Viceré deve fare i conti con il fine vita, dopo una esistenza nel lusso e nel comando, perdendo senno e dignità al solo pensiero di essere stato mandato, dal suo Imperatore, a combattere Siena, benché malaticcio e innamorato. Torna Firenze nella storia di Napoli, con altre pagine di cronaca sulla Duchessa e su Pietro Strozzi, mentre «l'inconsapevole» Principe di Salerno, sulla via del tramonto anch'egli, ha aperto ormai le porte dei suoi ex stati all'invasore Turco. Lo sbarco del Pascià avviene a Massa e Sorrento, e lo stazionamento a Procida, mentre Carlo V saluta questo mondo e il figlio Filippo II che succede a Re di Napoli. Una sequela di Viceré e luogotenenti si fa strada sul trono, dove Ugeda, figlio storpio del nuovo sovrano, legalizza una «banale» tangente per favorire un vecchio procidano che lo intenerisce. È l'ultimo atto di questa terza parte dell'Historia che si conclude con un profilo sui governatori della Città, pronti a far applicare le prammatiche della giustizia. Non parlano più di «inquisizione», ma la parola d'ordine resta l'«eresia», quella che vede cadere molte teste, una dopo l'altra, mentre la Vicaria si fa bella con la stanza della Tortura e la stanza della Rota. Sabato Cuttrera
Eresie a Napoli pre Inquisizione: cronache su giudei, luterani, forusciti e nobili squartati. Gli editti contro l'eresia sono realtà
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 106
Questa prima parte del volume, come la seconda che seguirà, tratta delle cronache nude e crude sui malumori del popolo che portarono alla rivolta del 1547. Una carrellata iniziale sul secolo dell'opposizione religiosa immerge il lettore nelle cronache del Cinquecento, i giornali dei cronisti dell'epoca, che ci raccontano di una capitale oppressa dalla religione e dallo strapotere del Viceré spagnolo Pietro da Toledo, imposto dall'Imperatore Carlo V, che pure si era mostrato liberale a Napoli 'città fedelissima'. Le ragioni sono da ricercarsi nella crescente povertà dovuta alle guerre di religione e di stato che ancora richiedono la necessaria sedimentazione, specie tra Francia e Spagna, come in Tunisia. In fondo è un bel periodo solo per i dominatori, che si sollazzano fra i bagni di Pozzuoli e le corti locali, ma debiti, corsari e prestiti a strozzo sono il vero problema che faranno esplodere il popolo. La lunga premessa immerge il lettore anche in episodi 'leggeri' fra la parentela dei Toledo con il Duca di Firenze, l'amante a viceregina, il segretario dalla mano lesta, e lo stesso Viceré giocatore d'azzardo e sadico vendicatore. E così, il falso illuminismo delle nuove strade, delle statue nelle piazze, delle fontane zampillanti, contrasta con le centinaia di napoletani mandati alla forca o a ingrossare le sale della nuova Vicaria fatta costruire apposta per giustiziare i Napoletani, da accusare e torturare. Gli ordini nuovi vengono affissi nel duomo e parlano chiaro: ai laici è vietato parlare di religione. Ora il rischio di finire sotto i ferri della luccicante sala delle torture è reale. E saranno centinaia i Napoletani costretti a confessare peccati mortali inesistenti, per il macabro gusto degli ufficiali spagnoli di vedere squartati in pezzi i nobili di Napoli, fuoriusciti e filofrancesi. Le lettere, le poesie, la musica della Corte del Principe di Salerno, portata da Siena a Napoli, invidia del Re di Francia o del Gran Turco, vengono offuscate dalla sete di vendetta del Viceré che perseguita Ferrante Sanseverino fino a vederne morta la bella principessa, seppur amati dall'Imperatore. L'autore fa parlare copisti e cronisti, Miccio, Castaldo, Spiniello e gli anonimi: tutti a raccontare di un popolo sempre ribelle, a causa delle vendette subite, pronto alla guerra civile alla sola notizia dell'Inquisizione, già accusato del delitto di eresia, per essere sempre più lontano dalle imposizioni papaline. L'idea di non volere l'Inquisizione, covata sotto Papa Paolo III e agognata da Paolo IV, il più terribile della storia, porta il popolo, sentitosi tradito, a ribellarsi a tutti, perfino a scagliarsi contro i nobili che lo hanno utilizzato, accusato e tradito. Ma il Viceré colpisce tutti, editto dopo editto, mendicanti e gentiluomini, fino alla persecuzione del Principe di Salerno, colui che sognava un mondo di arte, di scienze e di natura. È la bellezza pura di corpi che si intrecciano e amoreggiano leggiadri alla falsa accusa di sodomìa, che è vera eresia.
Eresie a Napoli. L'Inquisizione 1547. Volume Vol. 2
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 136
È la vendetta del Vicere' Toledo, spagnolo spietato e vendicativo. La Cronaca ruota intorno alla rivolta del 1547, o meglio, ai danni causati dalla ribellione, scattata alla sola notizia di voler instituire il Tribunale della Santa Inquisizione. Non è ovviamente la rivoluzione di Masaniello del 1648, ma quella capeggiata da un suo omonimo, giusto un secolo prima. Il capo della Rivolta fu infatti tal Tommaso Aniello Sorrentino di Napoli che, in groppa a un amico, girò per i seggi della Città a radunare gente per la protesta nel nome del popolo e dei nobili. Fatto è che si dissociarono subito gli ufficiali della Vicaria, sebbene furono poi costretti a chiudere quelle carceri perché il Popolo, inneggiando al giovane e brillante Principe di Salerno intese spostare la protesta dal sordo Viceré all'amato Carlo V. Ma Don Petro approfitta della partenza di Don Ferrante Sanseverino e lancia le sue truppe a bombardare le povere case del quartiere più vicino al castello, uccidendo donne e bambini. Il popolo, invitato dal Priore di San Lorenzo, sede del Parlamento della Città, è costretto alle scuse per evitare la distruzione a tappeto. I nobili si discolpano e si tirano indietro, ma la vendetta cade subito su tre giovani rampolli fatti «squartare» in pubblica piazza. Sono in molti a ritirarsi, a cominciare dai deputati cittadini, capeggiati da Mormile che, in groppa a un ronzino prima solleva il popolo e poi dice a tutti di tornare a casa. La Città è costretta alla pace, ma l'odiato Viceré, preso di mira, scampa per un pelo a un attentato. Toledo alza il tiro e gli Spagnoli sparano sulla folla, in attesa di aiuti perfino da Firenze, pronti a colpire il popolo. Poi torna la ragione e si evita l'assalto della Vicaria da parte dei cacciatori Calabresi e dei fuoriusciti, di cui la città ormai è piena, pronti a farsi uccidere a decine. Finalmente Napoli s'arrende e giura fedeltà: il popolo consegna le armi e il Re invia l'indulto, trattenendo a corte il Principe di Salerno. Resta al suo posto con maggiori poteri il Viceré, pronto alla vendetta finale. Comincia infatti, scalzata l'Inquisizione, l'epoca delle eresie a suon di bandi, manifesti e trombette che per le vie della capitale preannunciano condanne per i laici che parlano di religione, per i luterani, e per i seguaci di Sodoma e Gomorra. Gli editti contro gli eretici si sprecano e le torture a danno dei poveri Napoletani anche. Chi viene messo alla corda, chi confessa, chi viene liberato e chi ucciso ugualmente, «squartato» o decapitato con la scure è solo un particolare. I nobili credevano di averla scampata, ma la spada del prorex spagnolo si abbatte su tutti. È sempre quella di Don Pedro, l'uomo che si è fatto raffigurare anche sulle medaglie che i supplicanti mostrano afflitti a Carlo V che le sfiora, sorride, e se ne va. Sabato Cuttrera
Amicizie e potere sul fine Medioevo: i Castriota di Atripalda e altri casi di Eliseo Danza da Montefusco e Nicolò Franco beneventano e diplomatico a Roma ma perseguitato dal papa per eresia
Virgilio Iandiorio
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 128
"Il rapporto che si stabilisce con la città, o il paese, d'origine non è sempre scontato. Si va via da esso e poi si ha voglia di ritornarvi. Il rimanere stabilmente in un posto, a volte assume il sapore di un domicilio forzato; per cui si ha voglia di andare via. Il luogo di nascita, di residenza o di domicilio è parte di noi, ne siamo formati e ne riceviamo le impronte. Quando un luogo è magnificato da quelli che non vi sono nati o che non ci vivono stabilmente, la lode acquista un valore doppio. Perché, si presume, fatta senza motivi affettivi (un figlio che ami i genitori è la regola), senza altri interessi velati o palesi, la lode di un estraneo, di un forestiero, è più significativa e importante di quella di un abitante. Ho suddiviso questo lavoro in due parti: 1) la lode della città di Atripalda, fatta dall'avvocato Eliseo Danza nella prima metà del XVII secolo; 2) le lettere di Nicolò Franco indirizzate, nella prima metà del XVI sec., a Costantino Castriota, marchese di Atripalda, a testimonianza degli interessi culturali che coinvolgono non solo quella nobile famiglia, ma anche la città. Nell'una e nell'altra parte, l'attenzione è rivolta alla città sul fiume Sabato. La sorte non fu benevola con i Castriota di Atripalda, perché nello spazio di mezzo secolo finirono tutti i discendenti. Le lettere di Nicolò Franco, ci restituiscono un personaggio che fece parlare di sé nella difesa di Malta dai Turchi; non solo, ma anche per i suoi interessi letterari testimoniati dalle sue pubblicazioni. Cinque secoli fa, il poeta e scrittore beneventano Nicolò Franco, per intingere la sua penna nella satira contro famiglie potenti del suo tempo, finì non in tribunale ma sulla forca a Roma per oltraggiose offese. Nel suo epistolario, raccolta di lettere su vari argomenti indirizzate a personaggi noti e meno noti, un genere letterario molto in voga nel secolo XVI, l'autore beneventano ne scrive una indirizzata alla Lucerna, la lampada ad olio, con la preghiera di illuminare la sua esistenza con la luce della sapienza e della verità: "Deh cara lucerna mia, se iniquo vento non spiri mai contrario a la tua luce, e se con la vista ci sia concesso da i fati sormontare al cielo, al pari del più rilucente occhio, che tiene il giorno". E dalla Lucerna il poeta riceve una lunga risposta. La Lucerna, cioè Nicolò Franco, narra il suo viaggio non nei regni dell'oltretomba, alla maniera di Dante, ma sulla terra, dove l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso si ritrovano nelle forme quotidiane della vita. In questo viaggio nel mondo notturno, la Lucerna incontra per prima le donne, muse ispiratrici dei poeti, ma di bellezza solo esteriore. Che dire degli osti, dei sarti, dei mercanti. Ma la lista è lunga. Ci sono tutte le categorie sociali a combinare nottetempo imbrogli nelle loro attività. Il potere politico con in testa Carlo V e una schiera di nobili, uomini e donne, amici stimatissimi del poeta. Ma è all'altra schiera, quella guidata dall'eternità e dalla fama, che il poeta si indirizza. "La leggenda lavora, anche in maniera inconsapevole, sul dato storico o sociale per innalzarlo a valore rappresentativo del gruppo in cui prende forma. Non avere "lègende" è come non avere più una identità, non avere un'anima, non avere aspirazioni. Patrice De La Tour Du Pin, volutamente mette la "leggenda" accanto alla gioia. Come la gioia che provava Eliseo Danza nel tessere le lodi di Atripalda, ricercandole nella storia della città; e Nicolò Franco nel coltivare l'amicizia con il marchese Castriota. V. I." (l'autore). Con brani e lettere tradotti dal latino.
L'abbazia di san Silvestro in oppido S. Angelo a Scala: i 12 abati mitrati di Sannio e Molise rifondati dall'obituario del S. Spirito in Benevento. Volume Vol. 2
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 120
Il Chronicon S.Sophie, a dire di Berteaux, porta «in testa un obituario che va fino all'anno 1137, in cui gli ultimi anni, dopo il 1119, son dovuti ad una mano diversa da quella che scrisse le altre note. Non si tratta punto di un obituario, ma di tabelle di anni nelle quali son registrate alcune note cronologiche e alcuni avvenimenti storici importanti».1 Le carte giunte fino a noi, purtroppo, si riferiscono solo al periodo della nuova Urbe, quello seguito alla rifondazione della città e dei paesi, da una parte all'altra della diocesi, dopo il catastrofico sisma del 1348. Assistiamo cioè al solo riassetto post nascita di più arcidiocesi, compresa quella napoletana, che diede vita al nuovo Regno di Napoli, quando finalmente anche la Signoria della Regina di Sicilia Ultra e Citra, Giovanna I d'Angiò, divenne sede metropolitica. Berteaux diceva infatti che l'archivio del monastero di S.Spirito si conserva «in gran parte» nell'Archivio Comunale di Benevento, ma che «le carte cominciano dal 1356», essendo andate perdute quelle precedenti.2 In buona sostanza, l'Obituario Beneventano, pur rifacendosi a notizie che nel concreto partono dal 1160, osservando la frammentaria documentazione pervenuta, sembra apparecchiato in una forma più vicina a noi, che ci riporta alla solita data della rifondazione post sisma, cioè dal 1349 in poi. Esso «consta in tutto di centundici carte (le ultime due non numerate), le quali sono riquadrate e rigate e misurano mm 185 di larghezza per 260 d'altezza».3 Sebbene siano state spostate di posizione e ricucite ora alla rifusa, ora secondo un nuovo schema che ruotasse intorno alla nuova Benevento e non più all'ex urbe Vetere, lo studioso affermò che anche la numerazione «fu fatta con molta probabilità nel sec.XVII, quando fu nuovamente rilegato il volume, come può desumersi dalla scrittura». Così Garufi: - Nessuno indizio ho potuto rinvenire che faccia pensare ad una numerazione più antica.4 «Oltre i fogli di risguardo, si notano otto quaternioni, un ternione e tre quinternioni, la c. 3 è rilegata per mezzo d'una striscetta di pergamena. E' da ritenere però che originariamente ques a c. 3 abbia avuto la sua rispondente nella c. 28 che manca, in modo da riunire i primi tre quaternioni. Questa congettura, a mio avviso, non ammette alcun dubbio. La datazione dei mesi, che comincia colla c 411, procede regolarmente». 1. S.Agata [Gothorum, cui unitus episcopatus Sessule]. 2. Avellino [suffraganea cui nunitus episcopatus Fricenti aeque principaliter, cum episcopatibus Aqua putrida, e Quintodecimo]. 3. Larino [suffraganea]. 4. Monte Corvino. 5. Volturara [unita a M.Corvino, suffraganea]. 6. Monte Marano [suffraganea]. 7. Lesina. 8. Limosani. 9. Bovino o Bivini [suffraganea]. 10. Auscoli [suffraganea, cui unitus episcopatus Ordona]. 11. Ariano [suffrganea, qui regie presentationis est]. 12. Frigento. 13. Trivento. 14. Bojano [suffraganea cui unito episcopo Sepini]. 15. Alife [suffraganea]. 16. Telese [suffraganea]. 17. Trivico [o Vico, suffraganea]. 18. Tortivoli [o Tortibuli]. 19. Ferentino [o Florentino]. 20. Lucera [suffraganea, cui unitus episcopatus Florentinus, ac Turtibulensis]. 21. Termoli [suffraganea]. 22. Civitate [unita a S.Severi, suffraganea]. 23. Dragonara [unita a S.Severi, suffraganea]. 24. Guardia [Alferia, suffraganea]. [25. Exemputs est Triventinus episcopus, qui concilium proovinciale Lancianense elegit. 26. Troiano vero episcopus, etiam exemptus, Beneventano provinciali concilio dumtaxat, utpoté eligens, interferre tenetur. 27. Tenetur abbas abbatia S.Lupi Metropolitano Capitulo unite 28. Abbas generalis Montis Virginis e 29. Commendatarius Oppidi Alberone sacra jerosolomitana religione. Dice De Nicastro che «reliqui, qui trigesimum ac secundum explebant numerum, episcopi, sunt»: 30. ex Tocci 31. ex Sessule 32. ex Ordona 33. ex Quintodecimi Aqua Putrida 34. ex Sepini. 35. ex Troja ac Biccari.
Forentum restituita. Ricerca archeologica nel territorio di Forenza
Pasquale Di Carlo
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 103
Impostare una ricerca archeologica sul territorio di Forenza (Pz) è risultato da sempre un'operazione urgente e prioritaria per comprendere e delineare i tratti essenziali delle società storiche che si sono evolute in rapporto ad un ambiente che, da tempi remotissimi, disponeva di tutte le premesse per favorire uno sviluppo socio-economico competitivo delle società protostoriche dell'Italia. Basterebbe questa semplice premessa per comprendere quanto sia gravosa l'assenza della ricerca archeologica in un ambito territoriale che ha in sé grandi possibilità di restituire quei dati qualitativamente utili alla ricostruzione storica. Sembra subire un torto più grande la storia di Forenza, quando, nella metà degli anni Ottanta, venne " battezzata" la Forentum-Lavello, in un celebre convegno, tenutosi a Lavello e presieduto dall'allora Soprintendente alla Archeologia della Basilicata Angelo Bottini. In effetti questo avvenimento ha smosso alcune coscienze di certi studiosi locali e ha contribuito a riaccendere l'interesse per l'indagine storica nel territorio forenzese; di fronte due mondi e due saperi a contendersi la palma assoluta dell'attendibilità scientifica, quello storico-archeologica e quello storicoletteraria. Questa dicotomia sembra essere il riflesso di un'epoca: l'indagine storica soffriva ancora la distanza esistente tra i differenti campi del sapere, mancava la collaborazione e il lavoro d'équipe. Nelle acquisizioni storiche, se le fonti letterarie vanno riconfermate dai dati archeologici, bisogna aggiungere che miserrima appare quell'archeologia, che da una parte si proclama banditrice di scientificità, mentre, dall'altra, antepone il dato interpretativo all'epistemologia; e la Soprintendenza 9 Archeologica della Basilicata di questa colpa si è macchiata: aver tentato in modo estenuante, attraverso decenni di pubblicazioni, di utilizzare un dato erroneo, derivato da un'imprecisa lettura dell'ormai noto testo epigrafico pubblicato da M. Torelli nel 1969 1 , per ricavarne un dato della geografia storica, ancor oggi per niente chiarito: l'individuazione di Forentum nel territorio di Lavello. Il peso del confronto che questo dato epigrafico deve reggere nei confronti di una ricca letteratura, orientata ad ubicare Forentum nel territorio di Forenza, è insostenibile. Questo lavoro pertanto non è tanto finalizzato specificatamente a localizzare la Forentum antica nell'area in cui ricade l'attuale comune di Forenza, quanto dare un primo passo per realizzare strategie d'indagine che questo territorio attende. Per impostare la ricerca seguente nel comune di Forenza, mi è apparso d'obbligo introdurre una breve trattazione della storia antica del comprensorio del Vulture-Alto Bradano, allo scopo di delineare i caratteri comuni e peculiari delle società storiche che hanno condiviso il medesimo territorio e che hanno riprodotto il medesimo apparato ideologico attraverso i sistemi di auto-rappresentazione in loro possesso. L'immagine di queste società sono desumibili attraverso i corredi funerari. Troppo scarse sono ancora le conoscenze in nostro possesso sugli abitati. Fare interagire le diverse discipline che possano contribuire alla ricostruzione storica, ci metterebbero di fronte a nuove discussioni e a nuove problematiche, svelandoci molte volte nuove strade che conducono spesso a risultati inaspettati; si pensi ai dati dell'antropologia fisica che la Cipolloni Sampò 2 ha spesso messo in relazione con i dati archeologici della cultura materiale, raggiungendo risultati ammirevoli per la ricostruzione delle società passate.
Fiorenza e il Giglio della Cittade di Cosimo I de' Medici: Eleonora di Toledo, il padre Viceré, la Matrigna e l'Efebo. Trascrizioni da tomi a stampa e da manoscritti inediti coevi
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 164
Il Duca Alessandro de' Medici fece una brutta morte e Firenze stette sull'orlo del collasso. Ci pensò il Cardinale a richiamare il Consiglio dei 48 e a condurlo su un solo nome: Cosimo I, da paggio a pupillo del defunto. E quando questo sbarbatello salì le scale trovò già pronta la sedia per firmare l'accordo e calmierare il Ducato, benché appartenesse a un ramo cadetto dell'antica famiglia della prima cinta muraria. Le relazioni degli ambasciatori si moltiplicarono come veline, e le notizie, trascritte e sovrapposte, fecero il giro delle corti e dei principi d'Italia: Papa, Re e Senato veneziano ebbero di che ragionare. Non trascorsero due anni che il novello Duca fece proposta di nozze alla figlia del Viceré di Napoli. Eleonora di Toledo, col suo ricco corredo, e l'aiuto militare del padre contro Siena, sarebbe stata la scelta più sensata per una Duchessa e un Ducato. Le nozze furono belle, e i doni anche. Cosimo divenne un tiranno, ma non tradì Eleonora finché visse, neppure quando gli morì il padre sotto gli occhi mentre traslava le fontane dei giardini di Firenze e Napoli nelle nuove piazze di Palermo per ridare vita alle regge napoletane e fiorentine, a cominciare da Palazzo Pitti, che la Duchessa fece abbellire da pittori, ceramisti e cortigiani, come Tansillo, al seguito del fratello. Firenze faceva invidia ai Principi vicini che spiavano i fatti dell'intera provincia di Toscana e della capitale. Sapevano tutte le strade di accesso, il numero dei militi nelle fortezze, il tesoro ripartito in beni e in soldi. Dalla milizia di terra all'arsenale, le ricchezze dei Medici e dei Toledo, ormai stretti parenti anche dell'Imperatore, si moltiplicavano da un'ambasciata all'altra, lasciando che l'amore fiorisse a corte, per il bello, per le donne e per l'arte. Perfino la giovane amata dal defunto Viceré, divenuta matrigna di Donna Eleonora, moltiplicò gli amori, lasciando sbizzarrire notai editi come Castaldo e inediti come Corona e Scipione Guerra. Ma Donna Vincenza, questo il nome della vedova allegra e fedifraga, arrivò a plasmare l'efebo del Cardinale Cibo, a sua volta rimasto a bocca asciutta, per scappare con Occhetto a Galatina. La guerra di Siena, pur rallentando il Rinascimento in Toscana, non frenò gli impulsi dell'amore, né la folla nelle aule e il via vai delle corti. La Firenze di Boccaccio e Guicciardini ritrovava l'unità in Europa, al pari del Regno di Napoli e più degli altri principi italiani abbarbicati sui confini come cespugli.
Rinascenza rurale, le zone interne dal medioevo all'età moderna: rinascita nella evoluzione del mondo contadino nel Sannio Agreste
Enzo Pacca
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 128
Un tempo molto, molto lontano, quando il mondo era dominato dalla magia e di notte intorno al fuoco sfavillante danzavano le janare, i boschi erano abitati dagli spiriti e nel silenzio delle tenebre si udivano gli ululati dei lupi mannari, al centro di tutto questo meraviglioso regno della fantasia e dell'incanto vi era il contadino. Il contadino era un uomo dedito al lavoro della terra, un vero custode della natura. Viveva in una piccola casetta rustica, circondata da campi rigogliosi e prati ammantati di fiori colorati. Il suo era amore per la terra e tutto ciò che essa offre era senza limiti, così come la sua saggezza e il suo spirito di osservazione. Ogni giorno, si alzava all'alba e si incamminava verso i campi, pronti ad accogliere i raggi del sole e a donare alla terra tutto il suo amore e i suoi sforzi. Piantava semi, curava le piante, raccoglieva frutti e verdure, sempre rispettando il ritmo della natura e ascoltando i suoi segreti. Ma la sua saggezza andava oltre il semplice lavoro del campo. Era un uomo di grande generosità e gentilezza, che spesso veniva consultato dagli abitanti del villaggio per i suoi consigli preziosi. La sua connessione con la natura gli permetteva di interpretarne i segni, di leggere nei venti e di comprendere i bisogni degli animali che lo circondavano. Il contadino rimane sempre umile e fedele ai suoi principi. Lavora la terra con passione e amore, considera ogni pianta e animale come un dono prezioso da preservare. Nonostante i tempi fossero cambiati e la magia iniziasse a sfumare nel mondo, il contadino rimase un faro di speranza, un ricordo vivente dell'antica connessione tra l'uomo e la natura. E così, anche quando il vento smise di portare il canto delle janare e i lupi mannari si ritirarono nel buio, il contadino continuò a diffondere la sua magia attraverso il suo lavoro e la sua gentilezza.
Il poeta amico dei cani, guide al Medioevo: Canes e altre traduzioni dal latino di Giovanni Darcio da Venosa
Virgilio Iandiorio
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 112
Mi accingo a scrivere la biografia di Giovanni Darcio, poeta venosino vissuto nel XVI secolo. Di lui sappiamo quello che ha scritto nella sua opera Canes, pubblicata a Parigi nel 1543. Era nato a Venosa, difficile stabilire l'anno; nella sua città si dedicò all'insegnamento, poi si trasferì in Francia al seguito del vescovo Andreas Richer. Di lui non sappiamo altro. Può sembrare un'impresa folle, come quella di cui parla Michel Onfray a proposito della biografia di Lucrezio: «Bernard Combeaud [amico del filosofo che aveva tradotto il De Rerum Natura] nutriva il progetto egualmente folle di scrivere una biografia di Lucrezio. Noi sappiamo che della vita di questo poeta non sappiamo nulla. Bernard però sosteneva che la frequentazione intima del testo gli aveva permesso di intravedere l'uomo e si proponeva quindi di raccontarne a suo modo la vita» (M.Onfray, Vivere secondo Lucrezio, Parigi 2021, tr. It. Milano 2023 p.12). Giovanni Darcio manifesta nella sua opera una conoscenza profonda dei cani, dell'arte di allevarli e di addestrarli, acquisita con l'esperienza diretta, come afferma in due punti nel testo (comperta loquor, cioè, io parlo con cognizione di causa). Dai suoi versi, perciò, traspaiono, come in controluce, i tratti della sua personalità. Non saprei dire quanta fede possa avere questa biografia di Giovanni Darcio, scritta alla maniera degli autori delle novelle storiche nei secoli XVII-XIX. Sul fondo di qualche verità ho tessuto una tela di parecchi avvenimenti, contemporanei e di certo patrimonio della sua cultura letteraria e della sua esperienza. Ad ogni modo potrà risultare di gradimento a chi legge vedere che le cose, che mi fingo narrate in prima persona dal poeta, poniamo che non siano realmente accadute, possono, però, risultare almeno probabili, perché i riferimenti ad esse sono avvenimenti dell'epoca del nostro poeta. Una full immersion nel passato, come ci hanno abituato a vedere con i ritrovati della più sofisticata tecnologia, e le diavolerie informatiche dei nostri giorni. Ma navigare nel tempo passato o futuro che sia e anche nello spazio vicino o lontano da noi, ha sempre attratto la fantasia dell'uomo. E penso alla Storia vera di Luciano di Samosata, vissuto nel secondo secolo d.C., un racconto fantascientifico di viaggi al di là delle terre conosciute ai suoi tempi, in cui i protagonisti arrivano addirittura a viaggiare nello spazio e ad incontrare i Seleniti, gli abitanti della Luna. Senza scomodare altri famosissimi poeti e scrittori che hanno scritto di viaggi al di là del tempo e dello spazio, ho immaginato di ascoltare dalla viva voce del poeta Giovanni Darcio momenti della sua vita, ricostruiti attraverso le poche parole che di sé ha scritto nelle sue opere, poche anch'esse. Ho immaginato di incontrare Darcio a Sens, nella cattedrale di Saint-Etienne, una delle più antiche cattedrali gotiche di Francia, di cui fu vescovo Richer, il suo patrono: ma per non disturbare eventuali funzioni religiose nel tempio, ci siamo portati nei dintorni di questo sontuoso edificio. All'esterno del capo-croce, infatti, si trova il giardino dell'Orangerie con le sue aiuole. Sono rimasto per molto tempo ad ascoltare la sua narrazione, storie della sua vita, e a registrare fedelmente le parole, come qui appresso si riportano. V. I.

