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Perché pubblicare l’opera di Giacomo Zanella, un poeta ormai dimenticato? Perfino in voluminose enciclopedie sulla letteratura italiana il suo nome è richiamato in mezza paginetta. Si rischia di proporlo ancora una volta alla sola, ristrettissima cerchia dei suoi studiosi, «il piccolo popolo che pensa», probabilmente già detentrice di edizioni precedenti. L’autore di questo lavoro ha scelto invece di dedicarlo al «gran popolo che sente», intendendo raggiungere il cuore di ogni lettore. L’opera è pertanto riproposta privilegiando un ordine tematico ed è supportata da ampie parafrasi, intervallate da concisi commenti illustrativi. Ne esce uno spaccato di vita ottocentesca, e non solo, da cui traggono origine molte liriche del poeta. Raccolte in questa cornice, che rende comprensibile il linguaggio solenne e colto del migliore figlio di Chiampo, le poesie dialogano col nostro remoto passato e ci prospettano inaspettate visioni future.

Il cielo ha sempre suscitato enorme interesse negli esseri umani che, sin dalle loro origini, hanno rivolto gli occhi al cielo. L’umanità tutta, probabilmente, ha questa attitudine in quanto si sente naturalmente legata ad una dimensione a lei in qualche modo nota (forse il suo luogo di origine). Guardare il cielo per immaginare, pensare o essere attratti a osservare qualcosa: un aereo, una nuvola, il sole o le stelle. Dovunque ci si trova nell’universo, basta alzare lo sguardo per vederlo: il cielo infinito.

"Mi trovo una sera in salotto. Sono davanti alla televisione, sto facendo zapping e l’imbarazzo cresce perché non so dove fermarmi. Almeno fino al punto che un documentario sta illustrando i drammi del passato in alcune miniere in giro per il mondo, una sequenza da brividi [...]. A quel punto, talmente shoccato ho perso letteralmente il filo della sequenza. Non so se sia stata citata anche Marcinelle dove nella mattina dell’8 agosto 1956 morirono in 262. È stato come mi avesse colpito un fulmine, in Belgio c’era stato anche nonno Piero. Lui era tornato, ma provatissimo nel fisico, tirava avanti nella sua quotidianità di rassegnazione quasi senza mangiare. Lì vicino avevo un caro amico, mi ha scosso e mi ha detto “ma lo sai Giannino che anche al Pulli di Campotamaso esisteva una miniera di carbone fossile?”. C’è voluto davvero poco. Come non provare a scavare nella storia locale? E così è nato il libro".