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Il cieco di Ortakos

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Il cieco di Ortakos
Titolo Il cieco di Ortakos
Autore
Argomento Narrativa Narrativa moderna e contemporanea (dopo il 1945)
Collana Scrittori Giunti
Editore Giunti Editore
Formato
Formato Libro Libro: Libro rilegato
Pagine 156
Pubblicazione 03/2019
ISBN 9788809849198
 
16,00 15,20

 
Ordinabile
«Avevo capito che nessuno ama la vita quanto un non vedente che la odia.» Salvatore Niffoi ci rapisce una volta di più con un romanzo breve e un racconto, due storie di cecità vissute nel paesino di Ortakos su due sentieri paralleli, ma percorsi in direzioni opposte. La prima, quella di Damianu Isperanzosu, su mastru tzecu de Ortakos, cieco dalla nascita e odiato dal padre violento e possessivo per questa sua invalidità. Una pesante croce che si aggiunge alla lunga sequela di rovesci e disgrazie da cui la sua famiglia è afflitta da generazioni. L’unica salvezza, oltre il bene viscerale che gli vuole la madre, sarà l’intelligente carità del medico e del prete del paese: Damianu andrà a scuola, imparerà a leggere con le dita, e grazie alla passione per la letteratura – che fa «immaginare i colori nascosti del mondo degli altri» – potrà andare a cercare fortuna «in continente». Ma il richiamo della propria terra, delle proprie radici, sarà irreprimibile. Un’esistenza vista con gli occhi di un cieco, intrisa di buio masticato inghiottendo dolore e rabbia, ma anche di tutto il calore e l’amore che tatto e destino gli faranno incontrare sulla strada. Fino alla notte del miracolo. La seconda, quella di Paolo, ragazzo soprannominato Pasodoble a causa della sua mania per il tango, che sceglie sin da piccolo «di non vivere la propria vita, per vivere tutte quelle degli altri attraverso i libri», e poi recludersi in convento. Ambientate in una Barbagia infera eppure meravigliosa, e narrate con una lingua cruda, lirica, sismica, due storie che hanno la propria chiave nel mistero della visione. Di chi, mettendo a rischio ogni giorno la propria vita, forse riacquista la vista perché attraverso il dolore ne ha maturata una più profonda, e di chi, come Paolo, alla fine deve perderla, perché troppo sicuro di «aver visto tutto quello che c’era da vedere».
 
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