Bollati Boringhieri: Nuova cultura
Avere. Sulla natura dell'animale loquace
Paolo Virno
Libro: Copertina morbida
editore: Bollati Boringhieri
anno edizione: 2020
pagine: 208
Il verbo avere risiede al cuore del nostro linguaggio. Diciamo continuamente che gli esseri umani hanno pensieri, desideri, dolori, esperienze, beni, paure. Ma che cosa intendiamo? Quali implicazioni nascondono queste frasi così familiari? Ce lo spiega Paolo Virno, che partendo dal verbo avere ci guida in un viaggio denso e suggestivo all'interno della natura del linguaggio, chiave privilegiata per comprendere poi quella dell'uomo. Muovendo da una verità fondamentale: chi possiede qualcosa non è mai un tutt'uno con la cosa posseduta. Se anzi possiamo avere qualcosa, è proprio perché non siamo quella cosa. L'animale umano non coincide mai del tutto con l'insieme di facoltà, disposizioni ed esperienze che possiede , e che lo distinguono dagli altri viventi. Questa «scissione» ci consente di riflettere su noi stessi, su ciò che pensiamo e facciamo, e di avere quindi una coscienza. Ma anche di essere liberi: non essendo un tutt'uno con la nostra vita, né con nessuna delle nostre capacità, possiamo decidere che cosa farne. Abbandonare ciò in cui non ci riconosciamo più, e desiderare ciò che non abbiamo ancora - un amico intimo, un lavoro più gratificante, una comunità di cui sentirci parte. Proprio perché l'uomo partecipa di molte cose (pensieri, progetti, relazioni) senza coincidere con nessuna di queste, il verbo avere è il termine che incarna perfettamente la sua natura relazionale, sempre in comunicazione con l'altro da sé. E Virno è maestro nel raccontare le tante voci di questo dialogo.
Ombre nella mente. Lombroso e lo scapigliato
Maria Antonietta Grignani, Paolo Mazzarello
Libro: Libro in brossura
editore: Bollati Boringhieri
anno edizione: 2020
pagine: 176
Quando il giovane Carlo Dossi, esponente di spicco della Scapigliatura milanese, lesse "L'uomo delinquente" di Cesare Lombroso, ne rimase folgorato. L'opera conteneva categorie psicologiche impressionanti e osservazioni cliniche sul legame fra genio e follia. Travolto dall'infatuazione per quelle idee, Dossi scrisse subito a Lombroso esprimendogli la propria stima. Fra i due si stabilì allora uno strano legame epistolare destinato a mutare nel tempo. Dapprima Dossi, fine umorista sensibile alle bizzarrie della mente, divenne suo collaboratore a distanza con l'invio dei più disparati testi letterari segnati dalla pazzia, contributi che l'alienista prontamente utilizzava nelle sue opere. Poi Dossi sentì l'esigenza di interpellare Lombroso come medico a cui inviare informazioni sulle proprie sofferenze psichiche. Assorbite le teorie lombrosiane, Dossi si trasformò ben presto in una sorta di psichiatra in grado di formulare giudizi diagnostici, come capitò con l'opera "I mattoidi" e con un originalissimo articolo scritto per la rivista di criminologia diretta da Lombroso. Dopo vent'anni di conoscenza reciproca, soprattutto epistolare, i vari Dossi che erano mutati nel tempo (collaboratore, paziente e scrittore-alienista) si unificavano finalmente in una figura singola, che trovava nella "Grafologia" di Lombroso una sistemazione precisa accanto ad altri geni un po' matti, come Zola, Ariosto, Tolstoj e Schopenhauer. In fondo se il genio era una forma di pazzia, non doveva essere accertato, ma diagnosticato. Lo strano rapporto fra Lombroso e Dossi - che finì per influenzare profondamente entrambi - viene qui raccontato per la prima volta sulla base di un epistolario inedito e di documenti finora rimasti nell'ombra. La ricostruzione storica, da cui emergono molti dettagli spassosi, è anche il ritratto dell'esuberante atmosfera intellettuale dell'Italia ottocentesca.
Sei donne che hanno cambiato il mondo. Le grandi scienziate della fisica del XX secolo
Gabriella Greison
Libro: Libro in brossura
editore: Bollati Boringhieri
anno edizione: 2017
pagine: 224
I sei brevi romanzi in cui perdersi in questo libro sono quelli di Marie Curie (1867-1934), Lise Meitner (1878-1968), Emmy Noether (1882-1935), Rosalind Franklin (1920-1958), Hedy Lamarr (1914-2000) e Mileva Marić (1875-1948). Per molti saranno nomi sconosciuti, eppure queste sei donne sono state delle pioniere. Sono nate tutte nell'arco di cinquant'anni e hanno operato negli anni cruciali e ruggenti del Novecento, che sono stati anni di guerre terribili, ma anche di avanzamenti scientifici epocali. C'è la chimica polacca che non poteva frequentare l'università, la fisica ebrea che era odiata dai nazisti, la matematica tedesca che nessuno amava, la cristallografa inglese alla quale scipparono le scoperte, la diva hollywoodiana che fu anche ingegnere militare e la teorica serba che fu messa in ombra dal marito. Le sei eroine raccontate da Gabriella Greison non sono certo le sole donne della scienza, ma sono quelle che forse hanno aperto la strada alle altre, con la loro volontà, la loro abilità, il talento e la protervia, in un mondo apertamente ostile, fatto di soli uomini. Sono quelle che hanno dato alla scienza e a tutti noi i risultati eclatanti delle loro ricerche e insieme la consapevolezza che era possibile - era necessario - dare accesso alle donne all'impresa scientifica. Non averlo fatto per così tanto tempo è un delitto che è stato pagato a caro prezzo dalla società umana. Sono sei storie magnifiche. Non sempre sono storie allegre e non sempre sono a lieto fine, perché sono racconti veri, di successi e di fallimenti. Ma è grazie a queste icone della scienza novecentesca e al loro esempio che abbiamo avuto poi altre donne, che hanno fatto un po' meno fatica a farsi largo e ci hanno regalato i frutti del loro sapere e della loro immaginazione. Dietro di loro sempre più donne si appassionano alla scienza, e un domani, in numero sempre maggiore, saranno libere di regalarci il frutto delle loro brillanti intelligenze.
Non c'è una fine. Trasmettete la memoria di Auschwitz
Piotr M. A. Cywinski
Libro: Libro in brossura
editore: Bollati Boringhieri
anno edizione: 2017
pagine: 142
Prima di vederla, la Shoah era per quasi tutti semplicemente incredibile, non-credibile, troppo oltre l'umana comprensione. Dopo averla vista, oggi, per molti visitatori del Memoriale e Museo di Auschwitz-Birkenau è l'indicibile, non-dicibile, una violenza troppo grande per poter essere espressa a parole. Queste pagine cercano di trovare una soluzione, anche solo approssimativa al dilemma della memoria: Come fare a trasmettere la memoria dell'indicibile e del non-credibile?, per giunta in un tempo nel quale i testimoni diretti, per motivi anagrafici, stanno rapidamente venendo meno? È questo il difficile compito del direttore di un museo tanto particolare come quello di Auschwitz-Birkenau, ed è questo ciò che Cywinski cerca di fare in queste pagine.
Il cielo nascosto. Grammatica dell'interiorità
Antonio Prete
Libro: Libro in brossura
editore: Bollati Boringhieri
anno edizione: 2016
pagine: 271
Dentro di noi custodiamo un cielo nascosto, uno spazio-tempo altrettanto abissale dell'universo che ci sovrasta. Come è accaduto alla volta stellata, gli interni d'anima hanno attratto cosmografi fin dall'antichità: filosofi, scrittori, teologi e poeti hanno scrutato, contemplato, decifrato, versato in parole «fantasticanti e conoscitive» ogni transito di pensieri, ogni orbita di passioni, ogni ellissi del desiderio. Si è via via affinata una lingua per dire la mobilità dell'io e il teatro degli affetti, e si è scoperto nelle profondità della mente il punto di maggiore consonanza con il ritmo vivente del mondo. Questa pienezza di raffigurazione e il suo stesso oggetto – la vita interiore, concentrata nelle proprie fantasmagorie, ma anche persa in lontananze e silenzi siderali – rischiano oggi di smarrirsi, vittime dello spossessamento di sé indotto dalla seduzione della vicinanza virtuale e dal frastuono della comunicazione. In controtendenza rispetto ai tempi, Antonio Prete compie qui un prezioso gesto di restituzione. Mette la sua maestria di comparatista al servizio di una materia sconfinata, prelevandovi con levità figure tematiche e passaggi salienti, da Agostino a Joyce, da Montaigne a Proust a Calvino, e cedendo spesso il passo agli amatissimi Leopardi e Baudelaire. Sono tutti loro, insieme con gli artisti che nell'autoritratto hanno sfidato l'irrappresentabile, a costruire idealmente una «grammatica dell'interiorità», dove troviamo declinate le eterne forme del sentire, amorose o meditative, gioiose o dolenti, stupefatte o rammemoranti. Senza attingere a quel lessico, non potremmo neppure riconoscere ciò che ci accade dentro.
Numeri. La creazione continua della matematica
Gabriele Lolli
Libro: Copertina morbida
editore: Bollati Boringhieri
anno edizione: 2015
pagine: 144
«Il primo uomo che colse l'analogia esistente tra un gruppo di sette pesci e un gruppo di sette giorni - scriveva Alfred Whitehead - compì un notevole passo avanti nella storia del pensiero». Iniziava così l'avventura di contare e misurare. All'inizio si contava e si misurava ciò che aveva utilità pratica, come giorni, greggi, lunghezze; ma poco alla volta tutto verrà misurato: aree, volumi, lo spostamento degli astri, gli angoli. Si arriverà a utilizzare numeri per misurare cose che non possono essere rappresentate né come oggetti né da oggetti, come la probabilità o l'infinito. Il progresso della conoscenza umana è scandito dall'invenzione di nuove specie di numeri. Gli antichi avevano creduto di raggiungere un punto fermo con la definizione dei numeri frazionali, i numeri «rotti»: «un mezzo» sta a metà tra zero e uno, «un quarto» a metà tra zero e un mezzo, e così via... aumentando il denominatore possiamo individuare intervalli sempre più piccoli, saturando di numeri minuscoli la retta delle grandezze fino a riempirla completamente. O almeno così sembrava logico; e invece no, ecco che i numeri compiono la loro prima grande beffa, e Ippaso di Metaponto, verso il 500 a.C., si rende conto che in quella fitta trama di «razionali» si inseriscono altri numeri, completamente diversi («irrazionali», appunto), il cui capostipite è l'inquietante radice quadrata di due. Poi verranno gli «immaginari», con le loro impossibili radici di numeri negativi. I numeri non hanno mai terminato il loro cammino. In continuo contatto con la realtà e in perenne evoluzione assieme al procedere delle conoscenze, hanno saputo a loro volta adeguarsi alle esigenze contingenti, aprire nuove strade, «inventarsi» da capo, stupire e meravigliare. È questo che si propone di fare Gabriele Lolli in queste pagine: raccontarci con rigore l'universo dei numeri, e come la sua varietà sia logicamente unificata, rendendoci partecipi anche delle ultimissime e stranissime novità in questo campo, quelle che non si studiano a scuola, dai quaternioni ai numeri surreali, categorie sempre più strane, se si vuole, ma anche più sofisticate e inventive.
E si salvò anche la madre. L'evento che rivoluzionò il parto cesareo
Paolo Mazzarello
Libro: Libro in brossura
editore: Bollati Boringhieri
anno edizione: 2015
pagine: 208
Fino al tardo Ottocento, quando insorgevano complicazioni nelle fasi finali di una gravidanza e si rendeva necessario un intervento di parto cesareo, era chiaro a tutti che la madre era spacciata. Non c'era scampo: si incideva il ventre, si estraeva il bambino e si lasciava la donna al suo destino. «Il taglio cesareo provocava un terrore che proveniva da lontano, dalle profondità del passato», ci racconta Paolo Mazzarello, «perché era associato all'idea di morte della partoriente, sedimentata in secoli di drammi terribili». Nel 1876 accadde però qualcosa di nuovo, qualcosa che vale la pena conoscere, poiché rivoluzionò la vita della nostra società ben più di molte famose scoperte dell'epoca, continuamente celebrate. Accadde, cioè, che una giovane donna di nome Giulia Cavallini, affetta da rachitismo e giunta al termine della gravidanza, si affidò alle cure del professor Edoardo Porro, primario ostetrico dell'Ospedale San Matteo di Pavia. Col canale del parto della giovane donna quasi completamente ostruito per via della deformazione delle ossa, Porro - uomo risoluto, vecchio garibaldino e medico particolarmente attento al destino delle sue pazienti - capì che doveva elaborare una tecnica nuova, un'invenzione in grado di salvare, oltre al bambino, anche la madre. Ci riuscì, e rapidamente la «tecnica di Porro» entrò nel repertorio chirurgico europeo. Grazie a Edoardo e a Giulia - ognuno coraggioso a modo suo - si aprì la strada a un'epoca, la nostra, nella quale un parto cesareo non è più una condanna a morte sicura, bensì un intervento relativamente semplice, grazie al quale le donne non devono più temere un atroce, ineluttabile destino.
Melanconia e creazione in Vincent van Gogh
Massimo Recalcati
Libro: Libro in brossura
editore: Bollati Boringhieri
anno edizione: 2014
pagine: 160
In Vincent Van Gogh la relazione tra esistenza e opera, tra malattia mentale e creazione ha fornito materia a una lunga tradizione interpretativa, soprattutto psicoanalitica. Nessuno però ha saputo, al pari di Massimo Recalcati, mettere in rapporto malinconia e dipinti senza cedere a tentazioni patografiche, nel rispetto pieno dell'autonomia dell'arte. Per nessi illuminanti Recalcati procede dalle radici familiari della sofferenza psicotica di Vincent - venuto al mondo nel primo anniversario della morte del fratellino del quale gli fu imposto il nome - alla scelta di vivere da sradicato la propria indegnità di figlio vicario, alla spinta mistica verso la parola evangelica, fino all'estrema devozione alla pittura. Le maschere del Cristo e del "giapponese" servono a Van Gogh per darsi un'identità di cui si sente privo. I suoi quadri costituiscono lo sforzo estremo di attingere, attraverso la luce e il colore, direttamente all'assoluto, alla Cosa stessa. Ma la consacrazione all'arte, che all'inizio lo aveva salvato dalla malinconia originaria, si rivela ciò che lo fa precipitare negli abissi della follia. Il suo movimento pittorico e biografico dal Nord al Sud lo avvicina troppo al calore incandescente della Luce e in questa prossimità, come nel mito di Icaro, egli finisce per consumarsi.
La miniatura medievale. Una introduzione
Otto Pächt
Libro: Libro in brossura
editore: Bollati Boringhieri
anno edizione: 2013
pagine: 288
Prima che Otto Pächt vi si cimentasse con ingegnosa e sensibilissima perizia, si poteva ancora guardare alla miniatura medievale come a un genere artistico minore, da studiare negli stessi modi riservati al suo ascendente ritenuto più illustre, la pittura monumentale ad affresco o su tavola. Ma chi assisté nei tardi anni sessanta al ciclo di lezioni viennesi che è all'origine di questo libro ebbe il privilegio di "ascoltare con gli occhi" - sinestesia intellettuale prediletta da Pächt - una messe di immagini sfolgoranti per tonalità cromatiche e traboccanti di forme decorative, a cui veniva riconosciuto il rango autonomo di arte "maggiore", e con esso il diritto a un accesso metodologico peculiare. La vibrazione di allora si trasmette intatta ai lettori di oggi, davanti a un mondo figurativo che parla finalmente in un linguaggio proprio, quello del manoscritto decorato. Di Bibbie, Evangeliari, Salteri, Lezionari, Apocalissi, Sacramentari, Messali e opere con raffigurazioni didattiche Pächt analizza magistralmente ogni aspetto: le forme e gli stili, la suggestiva ricchezza di iniziali, il vocabolario ornamentale e simbolico, le tendenze espressive, il peso dell'eredità tardoantica e bizantina, il rapporto simbiotico o tensivo tra scrittura e immagine, la funzione della cornice, il conflitto spaziale che si gioca all'interno della pagina. Presentazione di Jonathan J. G. Alexander. Postfazione di Fabrizio Crivello.
All'ombra dell'altra lingua. Per una poetica della traduzione
Antonio Prete
Libro: Libro in brossura
editore: Bollati Boringhieri
anno edizione: 2011
pagine: 144
Fare rivivere in un'altra lingua la parola letteraria è al tempo stesso opera alchemica e prova di audacia. Qui la trasmutazione si esercita non su metalli guizzanti di vita, ma su una materia altrettanto ricca e pulsante: il fraseggio, la sonorità, il timbro, le scelte lessicali, tutto ciò che rende unico un testo d'autore. È con una simile unicità che si misura il traduttore. Fallirebbe però il suo compito se si prefiggesse di ricalcare l'originale o giudicasse la propria impresa davvero compiuta, e non solo l'approssimazione provvisoria a un'impossibile perfezione. Perché tradurre ha a che vedere con l'ombra, più che con la trasparenza della luce. Secondo Antonio Prete - che arruola appassionatamente in questo saggio le sue competenze di comparatista, di traduttore e di poeta - significa infatti agire nella zona umbratile che si colloca tra lingua d'origine e lingua d'approdo, prestando voce, inflessione ed energia inventiva a forme di mondo diverse dal nostro. Un cimento che ha intime affinità con il poetare. "Senza essere poeta non si può tradurre un vero poeta", sosteneva già Leopardi, alle prese con il secondo libro dell'Eneide. Lo confermano le versioni in cui si sono provati i maggiori poeti italiani del Novecento, dal Puskin di Giudici all'Apollinaire di Caproni e Sereni, dal Racine di Ungaretti e Luzi al Goethe di Fortini, dai lirici greci di Quasimodo allo Shakespeare "per l'orecchio, non per l'occhio" di Montale.
Il linguaggio e la mente
Noam Chomsky
Libro: Libro rilegato
editore: Bollati Boringhieri
anno edizione: 2010
pagine: 306
Dai lavori dei tardi anni sessanta all'ultimo, decisivo contributo sulla biolinguistica, qui sono presenti tutti i capisaldi del Chomsky teorico. "Il contributo maggiore allo studio del linguaggio risiederà nella conoscenza che esso può fornire quanto al carattere dei processi mentali e alle strutture che essi formano e manipolano": la sua affermazione, datata 1967, si è rivelata profetica. Partendo dal presupposto che compito di una teoria generale della struttura linguistica sia esplicitare le regole grammaticali che consentono di generare infinite frasi, Chomsky ha indagato i princìpi di una "grammatica universale" anche alla luce di una prospettiva biolinguistica che si misura con le nuove acquisizioni del cognitivismo e delle neuroscienze, e affronta inediti, radicali interrogativi.
Il socialismo degli imbecilli. Propaganda, falsificazione, persecuzione degli ebrei
Michele Battini
Libro: Libro in brossura
editore: Bollati Boringhieri
anno edizione: 2010
pagine: XXIX-336
Il libro mette a fuoco una cesura determinante nella storia della tradizione antigiudaica europea: la rottura intervenuta dopo la prima emancipazione giuridica degli ebrei, in conseguenza della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino nel 1789. Con lo Stato liberale e l'economia di mercato, lo stereotipo dell'accusa di usura si trasforma in un tipo di anticapitalismo che fa degli ebrei i capri espiatori delle crisi economiche. Scrittori antilluministi, come Bonald, cattolici intransigenti, come Drumont, attaccano lo Stato di diritto e individuano negli ebrei coloro che hanno tratto vantaggio dall'avvento delle libertà moderne. Con Toussenel e Proudhon il paradigma si diffonde anche in alcuni settori del movimento operaio europeo e, negli ultimi decenni del XIX secolo, con la depressione economica, viene rilanciato con enorme fortuna, soprattutto in Francia. L'anticapitalismo antiebraico dilaga in Europa occidentale: a Vienna con i cristiano-sociali e in Germania con le leghe antisemite, e si manifesta all'inizio del Novecento pure in Italia. La vicenda del paradigma antiebraico illumina anche la preistoria dei Protocolli dei savi anziani di Sion, il falso sulla presunta cospirazione ebraica per la conquista del potere mondiale: i testi della propaganda fornirono materiali, figure, argomenti e linguaggio politico per la fabbricazione di quel documento, ma il mito del complotto ebraico costituì un evento reale, che manipolò per decenni la psicologia collettiva.