Guida: Lettere italiane

"La mia è una città dalle mille contraddizioni. Mi dicono che è la vita stessa piena di contraddizioni e che bisogna farci l'abitudine. Comunque sia, proprio in questa città, così contraddittoria, capitò un giorno Filippo e diede vita ad una storia che penso valga la pena di raccontare...".

Parla alla gente questo libro, dà voce alla povera gente, alle loro storie e alla loro condizione, alla loro fame e alla loro disperazione. E lo fa con semplicità e autenticità, rivelando tutta la forza e la validità della saggezza popolare.

Tutti i racconti riportati nel libro costituiscono un continuum narrativo, il cui denominatore comune è la filosofia popolare, ovvero le continue vibrazioni del "cuore" meridionale nel difficile periodo della ricostruzione postbellica.

ScrivEremo nasce come una sfida. Una sfida per amore e passione. Amore per la propria terra, per i destini abbarbicati alla storia: il fiume dei piccoli eventi, delle famiglie anonime, dei racconti tramandati, degli sguardi e delle parole che s'inchiodano alla memoria; passione per la scrittura nell'era che tende sempre più a trascurarla, spesso a svilirla. Un concorso letterario che non vuole avere alcuna pretesa di ergersi a evento culturale, perché anzitutto impastato di slanci e impulsi ben poco dottorali o cattedratici non è forse una idea originale. Né ScrivEremo ha chissà quali ambizioni. Non è stato creato per rapportarsi a qualcosa o a qualcuno, in un confronto competitivo. Aveva - e continuerà ad averlo - l'unico scopo di tenere desta l'attenzione su un luogo, e quindi su un piccolo mondo antico, attraverso le forme della narrativa.

È sempre commovente incontrare, in questi nostri tempi, persone che hanno la sensibilità di percepire a fondo la realtà e di imparare dalle contraddizioni attuali non motivi di disperanza ma motivi di vita nuova. Si avverte il nuovo nelle immagini che il poeta ci presenta e non intendiamo riferirci alla forma ma al contenuto.

Ambientato negli anni Cinquanta in una cittadina del Sud, questo è un romanzo di formazione, d'amore e di lotta per cambiare le cose. È un racconto corale che opera un recupero della civiltà contadina e di cui protagonisti sono un gruppo di giovani, operai e intellettuali, tra i quali la Flora che da il titolo al romanzo.

L'autrice fa di questo romanzo un inno all'amore, quell'amore che è la forza vitale dell'esistenza dell'uomo, (...) quell'amore che ha vissuto e sofferto in prima persona e in tutte le sue espressioni e manifestazioni. (...) Storie di famiglie e di persone che vivono in piccole cittadine di provincia condizionate da pregiudizi, da false moralità, da luoghi comuni e dalle convenienze materiali. I personaggi creati dalla scrittrice rappresentano questo mondo, forse un mondo osservato o immaginato, personaggi che si muovono con una dinamicità tale che il lettore si sente osservatore e partecipe allo stesso tempo delle varie situazioni descritte nei particolari.

L'autore si addentra nei moti dell'animo, nei titanici sforzi di rimozione, che l'uomo mette in atto, per sfuggire alla paura, per sottrarsi al rischio della Verità, che mostra ogni cosa nel suo vero essere, scioglie maschere e inganni e fa sentire il vero sapore delle cose e l'amarezza, quindi, inaccettabile per chi gode delle proprie finzioni inconsce, di un vivere angusto, limitato, senza spazi, di un vivere infantile, dove il piacere è guida e la realtà è illusione. Riflessioni, queste, che si chiudono aprendosi a delta, in un ampio respiro, e ridimensionando le grandi paure dell'uomo, che si svelano per ciò che sono, speranza e significato del vivere, mentre le cose, nella loro totalità, si colorano, nullificando le ombre, figlie esclusive della menzogna esistenziale.